Era il lontano 1949 e già la Cina guardava all’Africa. Dapprima come territorio fertile per l’espansione dell’ideologia comunista, che trovava facile sponda nel diffuso sentimento anti-coloniale allora imperante, poi Pechino aveva anche valutato il micidiale potenziale del mercato africano. Materie prime da estrarre facilmente e territori immensi da gestire. Terreni fertili da destinare a produzioni su larga scala per le derrate alimentari necessarie ad una popolazione, quella cinese, in costante crescita già da allora.
Così l’occhio esperto del governo cinese aveva già posato lo sguardo sul grandissimo potenziale rappresentato da 221 milioni di abitanti che il continente africano poteva contare nel 1950. Adesso in Africa vivono 1 miliardo e 216 milioni di potenziali consumatori anche se, per la maggior parte, con una capacità di spesa ridotta. Comunque sicuri clienti per il mercato di prodotti di «primo prezzo».
Siamo ad una nuova fase: una vera colonizzazione «moderna» in salsa agrodolce. Se l’Europa attualmente è prodiga di aiuti per il continente africano stanziando complessivamente ogni anno circa 56 miliardi di euro, il valore degli scambi con l’Africa, nel periodo 2014/2020 valgono ben 960 miliardi di euro in impegni finanziari e 908 miliardi in pagamenti. Comunque tutti i progetti finanziati con fondi europei, per essere approvati ed andare in porto, debbono passare il vaglio etico. L’Europa, giustamente, prima di stringere patti, verifica, almeno a grandi linee, che i fondi non vadano ad alimentare fazioni, eserciti irregolari, terroristi, almeno in prima battuta. Non è così per la Cina, dove l’etica in economia è un concetto completamente diverso dal nostro. Il profitto è profitto. Il mercato è mercato. Se poi si deve corrompere un re o un primo ministro o un generale, beh lo si fa e si portano a casa i contratti. Corruzione e contraffazione sono da una parte una spina nel fianco di Xi Jinping in Cina, ma sono utilizzati come armi micidiali correntemente dagli emissari del governo cinese all’estero.
È notizia di queste ore che la Cina ha stanziato tra prestiti, linee di credito, fondi speciali e progetti infrastrutturali ulteriori 60 miliardi di dollari per l’Africa. L’impegno è stato preso solennemente in una faraonica cerimonia nella famigerata Sala del Popolo a Pechino, alla presenza di 52 capi di stato africani, invitati con tutti gli onori da Xi Jinping per in terzo Forum di Cooperazione Sino-Africano.
La Cina, primo produttore mondiale di beni, ora come non mai ha un indiscutibile bisogno di investire. Ha un cash-flow di denaro costante che entra nelle casse della Banca Popolare Cinese, che deve far fruttare e mettere al riparo dagli speculatori. Quindi spende. Da quasi vent’anni la Cina in Africa ha intensificato il flusso di denaro. Realizza infrastrutture di primaria importanza. La Aziende cinesi hanno realizzato l’alta velocità fra Kenia e Nigeria. La Cina è poi impegnata in un mega progetto per un porto ed una linea ferroviaria in Mozambico, ha realizzato la metropolitana di Addis Abeba, questo solo per fare alcuni esempi.
Le linee di credito però non interessano in egual misura tutti gli stati africani. I cinesi sono maestri nel farsi i propri interessi. Per esempio il Ghana ha ricevuto 2 miliardi di dollari sui 19 promessi mentre lo Zimbawe negli ultimi venti anni ha ricevuto 33 miliardi. L’Angola, un paese ricchissimo di diamanti, petrolio e molte altre materie prime e la cui agricoltura è fiorente, ha il tasso di povertà più alto del continente e la Cina ha portato nel paese 45 miliardi di dollari, 22 destinati all’estrazione del petrolio. La Sonangol, società di Stato angolana per l’estrazione del petrolio, è oramai controllata completamente dalla Cina.
Tutto questo non è fatto per mero interesse umanitario o filantropico, anzi… oltre a beneficiare immediatamente dei proventi commerciali, il governo cinese si è assicurato il futuro ottenendo il controllo economico di ogni singolo stato. Ne possiede gli assets strategici, controlla trasporti e telecomunicazioni. Sta armando gli eserciti vendendo navi, aerei, mezzi di trasporto, carri armati, armamenti pesanti e leggeri (un mercato del valore di 18 miliardi all’anno ed in barba alle convenzioni internazionali). Possiamo dire che il continente africano si sta per svegliare con gli occhi a mandorla.
In un mercato globale la torta da dividere è una e la nostra fetta sta mangiandosela Pechino. Mai come ora ha più senso dire, citando Marco Bellocchio, «la Cina è sempre più vicina». Noi europei dovremmo prendere provvedimenti.
Lino Rialti
Per chi volesse approfondire le strategie di espansione del gigante cinese, molto diversa dal modello hard & soft di potenza americana, può consultare il capitolo dedicato alla Cina dell’interessantissimo studio di Pierluigi Fagan, Verso un mondo multipolare.