Alla fine, l’esito è stato quello più nefasto. L’elicottero che domenica 19 maggio riportava a Teheran il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi è precipitato in una regione montagnosa a 20 chilometri dal confine con l’Azerbaigian. Nessun sopravvissuto.
Con Raisi sono deceduti il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, il governatore dell’Azerbaigian Orientale Malek Rahmati, l’Imam di Tabriz Mohammad Ali Al-Hashem e altre quattro persone.
I fatti vanno indagati secondo una duplice prospettiva, rispetto alla tenuta della società iraniana e sugli effetti di questi fatti sui vari dossier esteri che vedono coinvolto l’Iran.
Il convitato di pietra: Israele
Il Governo israeliano ha precisato subito il suo mancato coinvolgimento in questo «incidente». Ovviamente, gli occhi sono stati subito puntati in quella direzione e già questo è significativo.
L’attacco al compound dell’ambasciata iraniana in Siria (anch’esso soggetto alla protezione internazionale), è stato infatti unanimemente condannato quale atto di guerra compiuto contro la sovranità iraniana, peraltro in uno Stato diverso, violando più di una norma internazionale.
Gli stessi Stati Uniti, hanno preso le distanze da un tale attacco, chiedendo moderazione nella risposta, ormai scontata, all’Iran.
Una risposta che, poi, è avvenuta, ed è stata simbolica, spettacolare, e calibrata per mettere in sofferenza il sistema di difesa, oltre che l’economia di guerra. È stato comunque uno smacco strategico per Israele che ha dovuto subire la violazione dei suoi confini, tanto che ha cercato, con una successiva risposta, di replicare allo stesso modo, sul suolo iraniano.
Ha infatti colpito Isfahan, città peraltro abitata dalla maggiore popolazione ebraica nel medio oriente dopo Israele, che dovrebbe risalire nientemeno che al Re (citato nella Bibbia) Ciro il grande e alla deportazione babilonese.
La sensibilità dell’argomento in Israele, è testimoniata anche dalla serie televisiva di spionaggio, intitolata appunto Teheran.
La reale entità dei danni da tutte e due le parti è oggetto di dibattito tenendo a essere esagerata o minimizzata a seconda delle prospettive; tuttavia, il passaggio della linea rossa riguardo l’attacco all’ambasciata rende plausibile qualsiasi operazione del governo israeliano.
La punizione collettiva su Gaza
Questo è significativo della sostanziale percezione avaloriale della condotta israeliana, amplificata dal protrarsi della punizione collettiva su Gaza, non solo senza correlazione con le giustificazioni addotte, ma, ed era intuibile, persino inefficace per gli obiettivi prefissati. Anzi, l’effetto, è sempre più una divaricazione tra il governo israeliano, gli Usa e l’occidente, e tra il primo e la sua società civile.
L’operazione su Rafah esplicitamente disapprovata da Biden, tanto da congelare il rifornimento di missili, come anche le sanzioni sui Coloni israeliani da parte dell’Ue, che segue quelle ripetute dell’amministrazione statunitense, per «gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi, tra cui la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti e la violazione del diritto alla proprietà e alla vita privata e familiare dei palestinesi in Cisgiordania», nonché quelle preannunciate sul battaglione dell’Idf, formato da ebrei ultra ortodossi, Netzah Yehuda, rappresentano un inedito nelle relazione tra paesi occidentali.
È vero anche che Biden ha difeso il governo israeliano da una plausibile incriminazione della Corte dell’Aja, in una pressione che inficia la terzietà di tali istituzioni, ma la linea degli Usa con il Presidente Biden sembra chiara, anche perché i movimenti universitari possono avere una rilevanza nelle prossime elezioni e lo stesso presidente si dice amareggiato che le bombe Usa uccidano bambini palestinesi, e che, per questo, sia chiamato genocide Joe.
Richiesta di mandati di arresto anche per Netanyahu e Gallant
Anzi, è notizia fresca, arrivata mentre è in corso la scrittura del presente articolo, che il procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja (dove è in corso anche il giudizio della Corte Internazionale di Giustizia nei confronti di Israele per genocidio) ha richiesto il mandato di arresto per Benjamin Netanyahu, e il suo Ministro della Difesa, Yoav Gallant, per «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» nella Striscia di Gaza dall’8 ottobre.
La Corte dell’Aia ha richiesto un mandato d’arresto anche per tre leader di Hamas, tra cui il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, per «crimini di guerra e contro l’umanità».
Le accuse per questi ultimi sono «sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e violenza sessuale durante la detenzione». Le accuse contro il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il Ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, includono «sterminio, fame come metodo di guerra, compreso il rifiuto di fornire aiuti umanitari, prendere deliberatamente di mira i civili durante il conflitto».
Gli approfondimenti giuridici del caso, sono riassunti nell’articolo di ValigiaBlu, dovendo notarsi, però, che mentre è plausibile la giurisdizione territoriale per indagare i crimini sul territorio occupato palestinese, più difficile considerare gli esponenti di Hamas «cittadini» di uno Stato palestinese che, ad oggi, non c’è.
A caldo si direbbe che questo mandato di arresto sia un’occasione per Hamas per difendersi pubblicamente dalle accuse che avrebbero giustificato la reazione israeliana, per poi uscire di scena, come avrebbe peraltro preannunciato al ministro degli esteri turco Hakan Fidan, in Qatar, il 21 aprile 2024 (Hamas rinuncerebbe alla lotta armata per il riconoscimento della Palestina nei confini del 1967).
Le violazioni dei diritti umani
C’è anche in ballo un rapporto dell’Amministrazione statunitense sulla violazione dei diritti umani da parte di Israele che, se confermato, non permetterebbe il trasferimento di armi per violazione degli standard Usa.
Non si può poi escludere che le distanze di Biden dalla politica israeliana nella guerra a Gaza siano dovute alle pressioni di grandi Ong (Jewish Voice for Peace e IfNotNow), finanziate da grandi nomi dell’apparato democratico come Gates, Soros, Rockefeller e Pritzker, e che sarebbero dietro alle proteste universitarie alla Columbia University e in altri campus.
Ovviamente, anche il governo israeliano guarda con un occhio agli Usa, soprattutto considerata la totale accondiscendenza che avrebbe dall’Amministrazione Trump, che rivendica una disponibilità non solo di facciata, anche nel condonare ogni ostilità verso l’Iran.
È noto, infatti, che l’operazione contro il generale Soleimani, l’avversario più ostico per l’Isis, sia stata rivendicata come un «successo» da Trump. Meno note sono però e conseguenze del ritiro unilaterale dell’amministrazione Trump dal nucleare, accordo da sempre osteggiato da Israele.
Se prima del ritiro un eventuale arricchimento per avere un ordigno nucleare avrebbe comportato anni di sperimentazioni, dando agio a controlli terzi, adesso è possibile che la percentuale da cui partire sia più elevata, con tutti i rischi connessi.
Ebbene, gli Usa e l’Iran, nonostante il condizionamento in politica estera degli Usa, hanno mantenuto incontri informali, anche per evitare un’escalation della regione di fronte all’assedio di Gaza.
Gli ultimi incontri, i successivi dopo le schermaglie di aprile che avevano portato ad un primo riavvicinamento statunitense ad Israele, secondo la ben informata agenzia Axios, si sono tenuti proprio pochi giorni prima dello schianto, attraverso diplomatici dell’Oman.
Pare che sia filtrato un cauto ottimismo sull’arricchimento dell’uranio e sull’escalation nella regione.
Il conflitto azero-armeno in Artsakh
L’ evento, tuttavia, si inserisce anche in un altro quadrante, quello del conflitto azero-armeno nella regione del Nagorno Karabakh (o Repubblica dell’Artsakh).
L’elicottero sul quale viaggiava Raisi, era proprio di ritorno da una missione congiunta Iran-Azerbaijan per la costruzione di una diga, in una regione non troppo lontana dalla zona contesa e strappata alla popolazione armena, nell’indifferenza generale.
Il governo armeno (che gode di poca popolarità in patria) ha espresso solidarietà e condoglianze al governo iraniano, ma è interessante notare un fatto: pochi istanti dopo la notizia riguardante l’elicottero che trasportava il Presidente Raisi è partito un aereo da trasporto militare Boeing C-17A Globemaster dell’esercito americano proveniente da Israele, atterrando in Azerbaigian.
L’ imminente incriminazione del governo Netanyahu, che gli Usa avevano già dimostrato di conoscere, potrebbe avere un ruolo in questo viaggio, precedente di poco l’intervento ufficiale del procuratore Karim Khan della Cpi.
Ancor più interessante collegare quanto riportato da il Manifesto, sulla possibile presenza di una base del Mossad nell’aeroporto azerbaigiano di Nakhitchevan (vicino al luogo dell’incidente), nonchè le pressioni dell’Iran per arginare il potere di Israele nei confronti del vicino azero (e la partnership anti iraniana tra i due), di cui è il principale fornitore di armi, avendo così finanziato la conquista del Nagorno Karabakh.
Dall’altra parte, poi, che il partenariato azero iraniano fondato sul pragmatismo, è funzionale alla creazione di un corridoio russo nelle regioni — International North-South Transport Corridor (Instc) —, in competizione con il Canale di Suez per arrivare ad altri paesi del blocco Brics come Arabia Saudita e India.
In tutto ciò, si deve comunque rilevare che le ricerche e il decesso delle importanti figure istituzionali hanno consentito una ripresa delle relazioni diplomatiche internazionali anche tra Ue e Iran, considerando sia le condoglianze espresse da Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, che l’aiuto fornito al governo dell’Iran dal Commissario per cooperazione internazionale attraverso il servizio di mappatura di risposta rapida europeo Copernicus Ems.
Il fronte interno iraniano
Considerando il fronte interno si deve considerare la legislazione dell’Iran. Secondo l’articolo 131 della Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran
«In caso di decesso, dimissioni o destituzione del Presidente della Repubblica, o nel caso di malattia nella quale la sua assenza si protragga oltre il periodo di due mesi (…) il suo Primo Vicepresidente, con il consenso della Guida, ha il compito di svolgere i doveri del Presidente della Repubblica e un consiglio composto dal Presidente dell’Assemblea Islamica, il Presidente dell’Organo Giudiziario e il Primo Vicepresidente ha il compito di provvedere ad organizzare l’elezione del nuovo Presidente entro il termine massimo di cinquanta giorni».
L’incarico ad interim sarà assunto da Mohammad Mokhber, per ora noto per aver rafforzato i legami militari con la Russia, con forniture di armi per la guerra in Ucraina.
La notizia più interessante, però, sono i 50 giorni per indire nuove elezioni, in un clima interno ancora caldo per le proteste filo occidentali denominate «donna vita libertà», a cui sono seguiti arresti e condanne anche alle pene capitali, tra cui quella non definitiva, e contraddittoria rispetto a assoluzioni precedenti, del rapper Toomaj Salehi, per «corruzione sulla terra», cantante citato nel concerto del primo maggio e i cui testi, di veemente critica politica, sono stati diffusi spesso dal Foglio quotidiano.
L’età relativamente giovane della popolazione iraniana è spesso stata considerata un fattore determinante nella riforma dell’istituzioni. Di certo, però, l’isolamento internazionale, le sanzioni, i doppi standard occidentali, non aiutano la maturazione di un movimento credibile all’interno del paese, dovendosi considerare che l’appoggio popolare e l’unità nazionale invocati in tempi di crisi hanno spesso il sopravvento rispetto all’esigenza di riforme che vanno inevitabilmente in secondo piano.
Per tutti questi motivi i fatti relativi all’incidente aereo che ha visti coinvolti il Presidente Raisi e il Ministro degli esteri iraniano sono un punto di svolta.
Armando Mantuano