L’originale, stavolta, è persino peggiore della copia. L’originale è il Rapporto sull’Italia appena pubblicato dall’European Commission against Racism and Intolerance (Ecri), emanazione del Consiglio d’Europa, che suona come un atto di accusa verso la Polizia di Stato.
La copia è la sua rappresentazione mediatica, che con la solita scusa della sintesi «giornalistica» ha concentrato l’attenzione su un solo aspetto: le presunte scorrettezze delle nostre forze dell’ordine, nel segno di quella che viene definita «profilazione razziale» (sic).
Così, ad esempio, Repubblica ha sparato un lapidario «Razzismo nella polizia» e il suo cuginetto Domani ci è andato vicino con un quasi altrettanto perentorio «Attacco alla polizia italiana: «È razzista».
L’accortezza, per non dire il trucco, è nell’utilizzo delle virgolette: tecnicamente si sta riportando una tesi altrui, ma di fatto si trasmette ai lettori l’impressione che si tratti non già di un’opinione, più o meno discutibile, ma di un dato di fatto.
Fatto il dogma, intrappolate le leggi
Preso l’abbrivio, le reazioni si sono allineate. Semplificando a loro volta, nel replicare a quella parte specifica, e omettendo di estendere il ragionamento alle questioni davvero cruciali. Che sono tre. E che sono strettamente intrecciate tra di loro, come le corde di un nodo – di un cappio – che mira a soffocare l’autonomia politica dei singoli Stati europei. Eccole:
- Prima questione: i (cosiddetti) diritti umani.
- Seconda questione: la natura dell’ente, il Consiglio d’Europa, che si erge a loro paladino. Di per sé è un’agenzia collaterale, tuttavia ambisce a dettare la linea.
- Terza questione: la prevalenza delle norme Ue sul diritto nazionale. E quindi, fatalmente, sui margini di manovra di ciascun governo.
Vedi, per restare sulla stretta attualità, il dissidio appena divampato sul trasferimento in Albania di una parte dei tantissimi/troppi richiedenti asilo. Con la magistratura italiana – anzi: con il singolo magistrato – che appellandosi a una sentenza della Corte di Giustizia europea, o piuttosto a una sua interpretazione assai estensiva, pretende di avere l’ultima parola sui rimpatri. Stabilendo a propria esclusiva discrezione quali siano, e quali no, i «Paesi sicuri» in cui rispedire gli immigrati che non hanno titolo per rimanere sul nostro territorio.
In teoria si invoca la (sacrosanta) indipendenza del potere giudiziario.
Nella pratica ci si sostituisce al potere politico, ovvero alla volontà (ancora più sacrosanta) dei cittadini che hanno eletto quella maggioranza e legittimato quell’esecutivo.
Quasi 80 anni dal secondo dopoguerra
Non lo si ripete mai abbastanza: in materia di immigrazione, e di «discriminazione», ci sono degli approcci che vanno assolutamente ripensati.
Perché da un lato risalgono a un passato ormai remoto e perché, dall’altro, si sono dilatati a dismisura. Mischiandosi alle rigidità dogmatiche del politicamente corretto e degenerando, tramite le assurdità del pensiero woke, nella inaccettabile equiparazione delle critiche sgradite alle espressioni di odio.
«Il discorso pubblico – si legge appunto nelle prime pagine del Rapporto Ecri – è diventato sempre più xenofobo ed i discorsi politici hanno assunto toni fortemente divisivi e antagonistici, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con origine migratoria, Rom e Lgbt+. Il discorso d’odio, anche da parte di politici di alto livello resta spesso incontrastato».
Ovvio: l’Ecri si attiene ai propri scopi. Così come il Consiglio d’Europa, che è stato creato nell’ormai lontanissimo 1949 e che sul sito istituzionale si definisce «la principale organizzazione di difesa dei diritti umani del continente».
Per entrambi, quindi, enfatizzare certe posizioni è connaturato alla riaffermazione del loro ruolo, con il relativo pacchetto di premesse altisonanti e di applicazioni via via più ampie. Più impettite. Più indignate. Specialmente ora che in svariate nazioni europee stanno crescendo, finalmente, delle forze politiche non appiattite sul catechismo progressista.
Filantropico in apparenza. Tossico nella realtà. Una mistura infida che viene spacciata per medicina e che invece è velenosa.
Tutto facile, dai comodi uffici di Strasburgo
Pur ammettendo che nel suo Rapporto c’è ampio o amplissimo spazio per le valutazioni soggettive – in quanto «non sono frutto di indagini o prove testimoniali. Si tratta di analisi basate su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti. Gli studi documentali si basano su numerose fonti scritte nazionali e internazionali – l’Ecri si mette comunque in cattedra e impartisce lezioni. Con tanto di richiami e di moniti.
Inseguendo un mondo ideale, ammesso che lo sia davvero, si dimentica che la vita concreta e quotidiana è un’altra cosa. Tutta un’altra cosa.
Splendida intenzione, trattare «con i guanti» ogni sorta di immigrati o di minoranza ivi inclusi i Rom. Magnifico auspicio che le forze di polizia siano sempre e comunque del tutto serene ed equanimi e benevole, con chiunque e in qualsiasi situazione.
Poi però c’è la realtà. Che è irta di contraddizioni e di tensioni. Che è fatta anche di delinquenti che non hanno nessuna intenzione di tornare, lieti e sorridenti, nell’alveo della legalità.
Negli uffici di Strasburgo, dove ha sede il Consiglio d’Europa, è facilissimo pontificare su ciò che dovrebbe accadere nell’Eden che verrà. Ma fuori di lì, nelle nostre città e sulle nostre strade, tira un’altra aria. Pesante per mille e un motivo. Per nulla idilliaca.
Gerardo Valentini