BRASILE

Sarà Bolsonaro
il nuovo presidente


 

Jair Bolsonaro il prossimo 1 gennaio diverrà il nono presidente del Brasile dalla fine della dittatura militare nel 1985. Saldamente in testa al primo turno, al ballottaggio di domenica 28 ottobre l’ex militare ha conservato il vantaggio sul candidato del Partido dos Trabalhadores (Pt) di Lula, Fernando Haddad, ottenendo 57,8 milioni di voti (55,1%) contro i 47 milioni (44,9%) del suo sfidante.

In testa in tutto il Paese, ad esclusione degli stati del nordest, Bolsonaro ha raggiunto punte di consenso del 75% nello stato di Santa Caterina e superato il 60% in quello di San Paolo. La sua fino ad oggi insignificante formazione politica, il Partido Social Liberal (Psl) passerà dagli attuali 8 seggi alla Camera dei Deputati a 52, divenendo la seconda forza dietro il Pt che, nell’assemblea legislativa più rinnovata e più frammentata di sempre, ne manterrà 56. Il Psl potrà contare anche su 4 senatori eletti.

Tra i governatori dei 27 Stati della Federazione, 12 sosterranno il nuovo presidente, 8 saranno dichiaratamente contrari, mentre degli altri 7 non si conosce ancora l’orientamento. Il suo vice designato è Antônio Mourão, un generale della riserva di 65 anni del Prtb.

Bolsonaro, 63 anni, nato a Campinas nello Stato di San Paolo da genitori entrambi di origine italiana, è un ex militare di carriera, deputato alla sua settima legislatura. La sua carriera politica è cominciata nel 1988 con l’elezione a consigliere comunale a Rio, a seguito della quale lasciò l’incarico effettivo nell’esercito. La vita politica brasiliana caratterizzata dalla presenza di molte formazioni politiche «estemporanee» ha fatto sì che il neo presidente cambiasse ben otto partiti.

Padre di cinque figli, è sposato con Michelle de Paula Firmo Reinaldo, sua terza moglie (con il marito nella foto di copertina). Lo hanno seguito in politica tutti e tre i figli del primo matrimonio: Flavio eletto senatore a Rio, Carlos consigliere comunale sempre nella capitale carioca, ed Eduardo rieletto deputato federale nello Stato di San Paolo, con il maggior numero di voti mai attenuto da un candidato alla Camera in Brasile. Gli altri due figli sono Renan, del secondo matrimonio, e la prima femmina, Laura, nata dall’unione con l’attuale consorte.

La popolarità di Bolsonaro è dovuta al linguaggio duro e all’estremismo verbale con il quale negli anni scorsi il personaggio si era caratterizzato in una trasmissione televisiva e poi aveva trasposto nell’agone politico. Sono note le sue «uscite» machiste contro gli omosessuali, per la liberalizzazione delle armi e per la pena di morte, nonché gli elogi al regime militare brasiliano al potere negli anni Settanta.

Posizioni che, insieme al consenso, hanno determinano un forte rigetto verso la sua persona e consentito alle sinistre brasiliane e in seguito ai loro megafoni in Europa, di ventilare un pericolo per la tenuta della democrazia nel grande paese tropicale.

Il 6 settembre, durante una manifestazione elettorale in una cittadina dello stato di Minas Gerais, Bolsonaro è stato, poi subito arrestato, spuntato all’improvviso tra la folla. In ospedale è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche per la ricostruzione dell’intestino. La lunga degenza e il successivo periodo di convalescenza non ha però danneggiato la campagna elettorale del futuro presidente. E questo è un primo dato significativo che spiega meglio di tante analisi le radici del suo successo.

Due i fattori principali. Primo: l’insoddisfazione di vasti strati del Paese per il regime corruttivo che aveva come apice il Pt e che ha portato alla condanna per corruzione dell’ex presidente Lula, in carcere a Curitiba, città dalla quale ha preso il via l’inchiesta lava jato, il cui impatto nella società brasiliana è assimilabile alla nostra «mani pulite».

Secondo: l’insostenibile tasso di violenza che condiziona la vita dei cittadini brasiliani, con i 62 mila morti ammazzati all’anno e l’incubo dell’«assalto», come viene chiamata la rapina a mano armata che può abbattersi su chiunque in qualsiasi momento.

Sullo sfondo l’arrestarsi di quello sviluppo economico che negli anni precedenti aveva fatto uscire dalla povertà vasti strati della popolazione brasiliana.

Le posizioni anti-establishment e anticorruzione unite alle promesse di farla finita con la violenza urbana hanno messo le ali a Bolsonaro e gli hanno aperto la strada verso la presidenza, mettendo in secondo piano fra gli elettori tutte le altre valutazioni. Non gli ha pesato la mancanza di un vero partito alle spalle, ne i soli 8 secondi che aveva a disposizione per la propaganda televisiva che la legge mette a disposizione dei candidati presidenti in proporzione alle forze politiche dalle quali sono sostenuti.

Il nome di Bolzonaro ha viaggiato da solo, spinto unicamente dai social. Amplificato dai 2 milioni di seguaci su Twitter e corroborato dall’invio di messaggi WhatApp, com’è noto facilmente e gratuitamente replicabili all’infinito dai suoi sostenitori.

Il neo presidente ha vinto perché ha saputo farsi interprete della rabbia dei brasiliani verso la classe politica corrotta e della loro indisponibilità a sopportare il peso della criminalità.

La sinistra ha provato invano di tutto per incrinare la fiducia degli elettori verso Bolsonaro: dal «pericolo per la democrazia», al nuovo mantra delle «fake news», dagli epiteti di razzista, di fascista (anche se del fascismo Bolsonaro non ha proprio nulla). È stato infine accostato a Trump, ma anche il questo caso l’accostamento appare assai improprio.

Che cosa saprà realmente fare l’ex militare una volta insediato a Brasilia? Come metterà realmente freno alla violenza urbana? Quali saranno le sue vere scelte in politica estera per mantenere l’autonomia del Brasile. Quali le scelte in economia che il suo ministro designato Paulo Guedes metterà in campo per fare uscire il Paese dalle difficoltà attuali. Sono questi i veri interrogativi ai quali Bolsonaro sarà chiamato a rispondere.

Qui in Italia ci aspettiamo intanto che ci riconsegni il criminale Battisti, passato alle protezioni della sinistra brasiliana quando quelle della gauche francese non gli assicuravano più la possibilità di sfuggire alla giustizia. Il neo presidente ha fatto sapere che ci farà questo «regalo», ma l’ex terrorista lo ha già sfidato definendolo un fanfarone…

Vincenzo Fratta

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