CHARLIE GARD

I medici inglesi
staccheranno al spina

 

Restano ormai soltanto poche ore di vita al piccolo Charlie Gard, il bambino di appena 10 mesi affetto da una rarissima malattia genetica (solo 16 casi nel mondo oltre al suo), la sindrome da deplezione del mitocondriale – progressivo e inesorabile indebolimento muscolare – il cui caso sta lacerando e sconvolgendo non solo l’Inghilterra ma il mondo intero. Dopo il pilatesco «via libera» Corte per i diritti umani di Strasburgo, i sanitari del Great Ormond Street Hospital di Londra, dove è ricoverato il piccolo Charlie, sembra abbiano deciso di concedere più di tempo ai genitori da trascorrere col figlio, prima che vengano staccati i macchinari che lo tengono in vita.
Sono oramai migliaia i messaggi di solidarietà giunti da tutto il mondo ai genitori del piccolo Charlie, esprimendo la loro vicinanza alla famiglia, sconfitta da una lunga battaglia legale per impedire che venissero staccati i macchinari.

La richiesta non era fine a se stessa, ma mirava a permettere al piccolo di esser trasportato negli Usa così da esser sottoposto ad una cura sperimentale. È stato creato un hashtag, «Let Charlie Go Home», col quale si è tentato sino all’ultimo di convincere i medici londinesi di permettere ai genitori di portare il figlio a casa e trascorrere con lui le ultime ore, ma ciò non è stato possibile perché in ospedale devono essere somministrate le cure palliative per non farlo soffrire una volta staccata la spina.

«Le decisioni dei tribunali del Regno Unito sul piccolo Charlie, sono state meticolose e accurate e riesaminate in tre gradi di giudizio con ragionamenti chiari ed estesi che hanno corroborato sufficientemente le conclusioni a cui sono giunti i giudici». È questa la motivazione in base alla quale la Corte per i diritti umani di Strasburgo ha deciso di ritenere inammissibile il ricorso presentato dai genitori del piccolo.

La Corte aveva intimato a Londra di sospendere l’applicazione delle sentenze dei tribunali inglesi fintanto che non si fosse pronunciata sul ricorso, sospensiva durata però solo pochi giorni. Lo scorso 27 giugno è arrivata la decisione di respingere il ricorso presentato dai genitori del piccolo Charlie perché i giudici europei hanno ritenuto che non spetti a loro, almeno in questo caso, sostituirsi alle autorità nazionali, considerando «il considerevole margine di manovra che gli Stati hanno nella sfera dell’accesso alle cure sperimentali per malati terminali e nei casi che sollevano delicate questioni morali ed etiche».

In Inghilterra è riconosciuto il diritto di rifiutare le cure: il corpo è considerato inviolabile, non si può toccare senza consenso. Al contrario, è possibile richiedere le terapie, ma non è detto che siano fornite, se non considerate valide», spiega John Harris, docente di bioetica all’Università del Manchester. «I medici inglesi ritengono che nessuna sperimentazione possa guarirlo», prosegue nella nota.

Vivere o morire oramai è un «diritto» sancito da fredde regole istituzionali, che non trovano affatto riscontro nella sofferenza di chi vedrà cessare la vita del proprio piccolo, con un semplice click su una macchina che ne sancirà la sua morte, e con essa l’inizio dello strazio di due giovani genitori che non potranno che rinchiudersi in profondo ed assordante silenzio.

Tutto ciò comunque segna il confine sempre più labile tra il diritto alla vita, sacro ed indiscutibile, e quello dell’accanimento terapeutico, che meriterebbe un approfondimento maggiore in sede europea, disciplinando meglio regole e leggi, che non portino ad altri la decisione di staccare un macchinario contro il parere dei genitori, come accade in questo caso.

Gaetano Di Terlizzi

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