VIOLENZA A SCUOLA

Per gli studenti, cittadini domani,
l’imperativo è il rispetto

Violenza a scuola. Bocciato lo studenti di Abbiategrasso che ha accoltellato una professoressa. I genitori ricorono al Tar

 

Sembrerebbe la cosa più normale del mondo: un alunno aggredisce in modo grave uno dei suoi insegnanti e viene bocciato. Perdere l’anno scolastico sarà un’ottima occasione, si spera, per riflettere sul perché. Comprendendo che anche a scuola, così come in futuro sul posto di lavoro e in qualsiasi altro ambito della società e delle relazioni personali, ci sono dei requisiti minimi di correttezza che sono inderogabili.

I casi di Abbiategrasso e Rovigo

Violenza a scuola. Graziato lo studente che ha sparato pallini all'insegnante, ferendola, mentre un compagno lo riprendeva.Sembrerebbe, appunto. Perché le cronache ci dicono altro. In un caso, quello del sedicenne di Abbiategrasso che ha accoltellato la sua professoressa di Storia, la bocciatura è arrivata davvero.

Ma i genitori del ragazzo l’hanno trovata iniqua, appellandosi al fatto che il loro figliolo aveva dei buoni voti in tutte le altre materie, e quindi hanno fatto ricorso al Tar.

Nell’altro caso, invece, è andata liscia. I responsabili dell’Istituto Tecnico «Viola Marchesini» di Rovigo hanno ritenuto che la violenza commessa non fosse di ostacolo alla promozione.

Certo: il quattordicenne aveva sparato alla docente di Scienze con una pistola ad aria compressa, caricata con pallini di gomma, mentre un suo amichetto riprendeva la scena con lo smartphone. Ma che volete che sia?

L’esuberante ragazzino se l’è cavata con un 9 in condotta. Che è l’equivalente di un’alzata di sopracciglio: più che un monito, una messinscena. Un buffetto talmente lieve che assomiglia a una carezza.

C’è di peggio, però. Ci sono le ricadute mediatiche. Con i due episodi che hanno rilanciato le consuete, perplesse, meditabonde riflessioni sulla disciplina come principio educativo. Sino a chiedersi (sic) se sia giusto oppure no che la scuola giudichi anche il comportamento, oltre al profitto.

Concita De Gregorio, per esempio. Che nella sua rubrica su Repubblica, si è interrogata come segue: «Si va a scuola per imparare a leggere e far di conto o come stare al mondo? O tutt’e due, e in questo caso: saper leggere e far di conto ma non sapere stare al mondo è meglio o peggio?

Ti aiuta di più o di meno, nella vita, sapere la data del congresso di Vienna oppure non dico imparare a chiedere scusa, sarebbe troppo, ma non prendere a calci in faccia il vicino magari giusto così, per divertimento. Non so, non sono moderna. Aprirei comunque un dibattito».

Già, un dibattito. L’esorcismo abituale dei progressisti per non passare da autoritari.

Qualche punto fermo, grazie

La pedagogia ha molto a che fare con la psiche umana, e in particolare con quella dei bambini e degli adolescenti, per cui non c’è dubbio che si tratti di una materia delicata. Nella quale gli schemi «convenzionali» non sono necessariamente quelli giusti.

Allo stesso tempo, però, la cautela non può degenerare nella totale incertezza su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Sino a rinunciare, per eccesso di indecisione, a svolgere quel ruolo di guida che è connaturato alla funzione degli insegnanti. Come anche, eccome, a quella dei genitori.

Insomma: se è vero che su molte questioni si può discutere, a cominciare dai programmi di studio e dai percorsi didattici che servono a farli acquisire dagli studenti, almeno alcuni punti essenziali vanno invece tenuti per fermi. E tra questi, come abbiamo già detto all’inizio, non c’è dubbio che la correttezza dei comportamenti sia ai primissimi posti.

In un mondo meno confuso di quello attuale, che è frastornato per un verso e capzioso per l’altro, non dovrebbe esserci bisogno di precisarlo, ma a scanso di equivoci lo facciamo lo stesso.

Non stiamo parlando di imporre regole minuziose e restrittive a tutto campo, trasformando gli alunni in soldatini da comandare a bacchetta. Vogliamo solo affermare, e recuperare, la necessità imprescindibile di formare le nuove generazioni anche sul piano del carattere e della socialità, oltre che su quello del sapere.

Il cardine di questa crescita è racchiuso in un’unica parola: rispetto.

Rispetto per i docenti, che a loro volta devono essere all’altezza del proprio compito sia per la preparazione specifica, sia per la cura da mettere in ogni aspetto del loro rapporto con i ragazzi. E rispetto per i compagni, facendo sì che qualsiasi atto di bullismo venga percepito come una vigliaccheria di cui vergognarsi.

Il voto di condotta rientra in questa prospettiva. Da un lato va maneggiato con cura, affinché non diventi il ricatto per ottenere/estorcere un’obbedienza indiscriminata.

Ma dall’altro rimane la sintesi doverosa dell’attitudine mostrata, o viceversa negata, alla coesistenza pacifica e proficua con gli altri. Nella Scuola e altrove.

Gerardo Valentini

 

 

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