MUSICA LEGGERA IN COSTITUZIONE?

Ottime intenzioni Venditti,
ma la proposta è sballata

Il cantautore Antonello Venditti ha lanciato la bizzarra proposta della musica leggera in Costituzione

 

Un granello o due di ragione. Ma niente di più. Martedì scorso Antonello Venditti, durante la conferenza stampa che si è svolta al Ministero della Cultura per il quarantennale della famosissima Notte prima degli esami e per altre iniziative promozionali, si è scagliato sul degrado che ha colpito il mercato della musica. Per poi lanciare la sua bizzarra soluzione della «musica in Costituzione».

Antonello Venditti con Gennaro Sangiuliano al Ministro della Cultura per l'evento in occasione dei 40 anni di 'Notte prima degli esami'Nel mirino ci sono, e con ottime ragioni, «l’Italia dei talent, della tv, delle multinazionali». Realtà ormai onnipresenti e invasive che hanno generato una lunga serie di dinamiche dannose.

A cominciare dall’estrema volatilità degli artisti: oggi diventi una specie di idolo, grazie a questo o quel tipo di grancassa mediatica, e domani ritorni nell’ombra. Perché un altro personaggio, o presunto tale, ha colpito l’attenzione quanto mai volubile del grande pubblico e ti ha rimpiazzato nel ruolo di «star» del momento.

«Il condizionamento – denuncia Venditti – è talmente profondo che non riesci a tirarli fuori dalla comfort zone. I giovani hanno già una scadenza.

Prendi il caso di Sangiovanni. Sanno già che saranno superati dal nuovo, purtroppo. È un precariato intellettuale e morale che porta al suicidio, alla solitudine, all’angoscia.

Il ruolo di Sanremo e il peso dei talent

Oggi la musica passa solo per il Festival di Sanremo e per i talent in tv. Perciò mi piacerebbe fare anche degli incontri nelle scuole per sensibilizzare i giovani».

Fino a qui, tutto giusto. Che quel degrado ci sia, e abbia ormai dilagato, è fuori discussione.

Ai fattori che lo hanno causato andrebbe aggiunto almeno Internet (che però meriterebbe una lunga analisi a sé stante) ma la chiave di lettura rimane corretta. Anzi, sacrosanta.

La malattia esiste. La cura è complicata: perché non riguarda solo il mondo della musica ma dei processi assai più ampi. Detto alla Giorgio Gaber, che anche questo lo aveva capito con largo anticipo, Un’idiozia conquistata a fatica.

Che cosa propone, invece, Antonello Venditti? Un «rimedio» che è tanto altisonante quanto sballato: «Voglio far entrare la musica popolare nella Costituzione. È l’unica arte che non è riconosciuta dalla Carta».

Primo sbaglio. Che però è il meno grave. La Costituzione non cita espressamente nessuna forma artistica. Si limita, e fa bene, a sancire nell’art. 33 che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Del resto, già l’art. 21 riconosceva implicitamente la medesima facoltà: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Insomma: tutti possono esprimersi come vogliono e la tutela generale non entra nel merito del valore effettivo di ciò che ne scaturisce. Che siano vette della cultura o abissi dell’ignoranza, il principio è universale. Senza nessun criterio di valutazione.

Ognuno giudicherà da sé. Per come è capace. O per come è stato indotto a fare dai modelli dominanti.

Venditti insiste: «Abbiamo bisogno di questo, di essere riconosciuti, di dare dignità a De André e a Geolier, perché senza questa musica questo Paese non sarebbe stato come è, malgrado tutto unito». Assurdo.

Uno: a De André non serve nessunissima legge, quand’anche al più alto livello, che gli dia «dignità». Ce l’ha già. E il problema, semmai, è che lo si è talmente incensato da farne un santino che tutti esaltano ma che non tutti conoscono a fondo. Come invece meriterebbe.

Due: la «musica leggera», ahinoi, è un calderone sterminato in cui si ritrova ogni sorta di proposta. Porcherie incluse. Anzi: porcherie prevalenti.

In campo artistico non tutto è sullo stesso piano

È qui l’errore decisivo. In cui precipita anche Antonello Venditti. È parlarne come se fosse una categoria omogenea, sia pure nel senso più estensivo del termine.

Non lo è. Non lo è minimamente. Se davvero si vuole provare a invertire la rotta, rispetto all’andazzo attuale, la prima contromisura è farla finita con le versioni correnti. Stupide se in buona fede. Ciniche in caso contrario.

Quella che va spazzata via è l’illusione che in campo artistico, e culturale, sia tutto all’incirca sullo stesso piano. E che, perciò, non ci sia alcun motivo di domandarsi se quello che ci attrae abbia valore oppure no.

La Costituzione non c’entra. La chiave di volta è altrove. È nella rigenerazione del mondo editoriale, a tutti i livelli. È nello smetterla di andare a braccetto con ogni sorta di imbonitori, strizzando l’occhio al pubblico per ingannarlo meglio. E assicurarsi la propria fetta, o fettina, di notorietà e profitti.

Bisogna tornare a dirlo. A dirlo con la massima chiarezza: ognuno è libero di scegliere come gli pare, ma ha anche il dovere di sapere che accidenti di roba è, quella che lo delizia.

Continua pure a ingozzarti nei fast food, ma prendi atto che mangiare bene, e sano, è tutta un’altra cosa.

Gerardo Valentini

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