LA RAPINA DI NAPOLI

Il giovane carabiniere
vittima due volte

Lo scooter, guidato dal complice, dal quale è sceso Ugo Russo per compiere la rapina

La difesa non può essere considerata come l’offesa. Napoli: uno scooter si affianca ed avvicina un’auto, due figuri riescono a fermarla pistola in pugno, caschi integrali e scaldacollo tirati su fino agli occhi. All’interno dell’auto fermata dai banditi, una giovane coppia si accorge di essere in trappola. Uno dei malviventi sullo scooter scarrella la sua pistola, una Beretta calibro 9 e la punta al ragazzo che è alla guida della vettura intimandogli di consegnargli l’orologio. Insomma una rapina a mano armata da manuale, molto comune per le vie di Napoli e non solo.

Il pronto soccorso dell'Ospedale Pellegrini devastato dai parenti e amici del mortoPoi si scoprirà che in tasca il rapinatore aveva una catena d’oro ed un Rolex, frutto di una precedente scorribanda. Il ragazzo alla guida della vettura, un carabiniere in licenza, estrae la pistola d’ordinanza e fa fuoco tre volte. Il ragazzo, colpito da due dei tre proiettili, morirà qualche ora dopo in un ospedale.

Il pronto soccorso verrà poi devastato da parenti ed amici del rapinatore. Un quindicenne, il cui padre, sicuramente, non uno stinco di santo, straparla in favore delle telecamere e lancia accuse, arriva a determinazioni e conclusioni dipingendo il suo figliolo, nonostante pistola e refurtiva, come un bravo ragazzo.

Mi verrebbe da dire: ma allora siamo bravi tutti, se è bravo un rapinatore. Ma bravo poi perché? Perché a detta del padre «aveva un sogno», sì questo rapinatore «voleva diventare un pizzaiolo», ah, allora tutto passa in second’ordine, anche andare a rubare, a rapinare. Un particolare da tenere a mente: la pistola usata dal rapinatore era una replica di metallo, in tutto e per tutto simile a quelle vere. Impossibile da riconoscere.

Alla fine la Procura di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di omicidio volontario, il carabiniere, 23 anni, che la notte tra sabato e domenica ha sparato contro questo rapinatore quindicenne. Il malvivente era con un diciassettenne che è stato fermato dai carabinieri con un’accusa di tentata rapina formulata dalla Procura per i Minorenni.

In via Orsini le fotografie e i messaggi lasciati dagli amici del giovane rapinatore mortoInsomma una brutta, bruttissima storia. Storia di degrado, di crimine, di soldi facili fatti in modi sfacciatamente illegali. Sulla graticola il povero carabiniere, un ventitreenne, che, libero da servizio si è ritrovato vittima due volte. Una quando si è visto puntare la pistola in faccia, poi ora, che deve sopportare l’accusa pesantissima e sicuramente non fondata di omicidio volontario.

I comportamenti illegali poi, non sono terminati con la tentata rapina: un gruppo di parenti ed amici del quindicenne morto, verrebbe da dire un clan malavitoso, dapprima hanno aggredito i sanitari e poi devastato l’astanteria dell’ospedale Vecchio Pellegrini, dove era ricoverato il loro congiunto alla notizia della sua morte.

Poco dopo, non contenti, si sono spostati dinnanzi alla caserma Pastrengo, sede del comando provinciale dei carabinieri di Napoli, ed hanno esploso quattro colpi di pistola.

Tra i protagonisti della vicenda vi è una enorme dicotomia. Da una parte un bravo ragazzo, il carabiniere, che lavora per il bene. Dall’altra un giovanissimo losco figuro che non avrebbe esitato, se l’avesse avuta, a sparare con la pistola vera, pur di prendersi quello di cui aveva pensato di aver bisogno.

Un pensiero va al padre. Deve essere devastante sapere di aver perso per sempre un figlio. Un figlio giovane ed in salute. Ma non si possono buttare su altri le proprie colpe. Non può essere colpa del carabiniere se suo figlio gli ha puntato una pistola in faccia.

Invece arrogante e per niente commosso, questo padre, non pensa e accusando altri, invece di se stesso, non parla ma sputa. Sputa odio, sputa arroganza, sputa ignoranza, sputa povertà, sicuramente morale e forse materiale, sputa l’unica cosa che potrebbe salvare lui e tutta la sua famiglia: ha sputato fuori la sua dignità di uomo, di padre.

Anzi l’ha vomitata la sua dignità e ci ha sputato sopra tutto il resto ricoprendola. Non è così che ci si salva e non è così che si salva il resto della sua famiglia.

Da notare sicuramente la perdita totale di senso della giustizia, di spregio per le regole, di mancanza di rispetto per le persone, le cose e soprattutto perdita di rispetto per le Istituzioni e dello Stato.

Urge investire nel ripristino della educazione civica, ma non quella scritta sui libricini. Occorre far sentire presente e funzionante lo Stato con la sua macchina che deve essere ristrutturata e tirata a lucido.

La priorità però è per una vera riforma della giustizia, un inasprimento delle pene detentive ed afflittive accompagnato da un piano di rieducazione, recupero e reinserimento dei detenuti. Solo così questi padri smetteranno di piangere sulle tombe dei loro figli.

Lino Rialti

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