I CASI UVA E CUCCHI

Tutori dell’ordine
senza tutela

 

La Legge è dura solo per chi tenta di farla rispettare. In queste ore tornano alla ribalta delle cronache i casi di Stefano Cucchi, il geometra morto all’ospedale Pertini di Roma il 22 ottobre 2009 dopo essere stato arrestato sei giorni prima per droga, e di Giuseppe Uva l’operaio morto dopo un Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso in gergo).

Se per Cucchi sembra vi sia stata una certa violenza nelle ore successive all’arresto, probabilmente dovuta alla irrefrenabilità del soggetto dedito all’assunzione di droga, nel caso di Uva siamo al paradosso: il rappresentante dell’accusa in secondo grado, ha sostenuto che «tra le cause, insieme a una patologia cardiaca» del decesso dell’operaio ci fu una «tempesta emotiva» provocata dalla «costrizione fisica» cui fu sottoposto quella notte, insieme alle «lievissime lesioni riscontrate sul suo corpo». Insomma ai militari che hanno eseguito l’ordine di internamento è imputata la morte visto che è morto. Siamo alla follia.

Con quale spirito, con quale motivazione un carabiniere, un poliziotto o un qualsiasi tutore dell’ordine, d’ora in poi potrà acciuffare un mariuolo. Inseguire un ladro, un rapinatore, uno stupratore. Se per puro caso, il «malcapitato» delinquente dovesse soffrire di cuore e dovesse avere, nelle concitate fasi della fuga, un infarto, poi la responsabilità sarebbe imputata all’inseguitore che diverrebbe il colpevole. Come possiamo pretendere di avere una Giustizia degna di una democrazia?

Se fino ad oggi ci siamo preoccupati solo di tutelare i carnefici infischiandocene delle vittime. Ora addirittura stiamo aprendo un nuovo capitolo vergognoso: accusiamo i tutori dell’ordine quando fanno il loro dovere tra mille difficoltà. Stressati, loro sì, ingiustamente, malpagati, sotto organico, addirittura senza autovetture. Forze dell’Ordine senza un turnover adeguato, costretti a 55 anni a correre ancora dietro a criminali impavidi e senza scrupoli che sparano e menano mani ad ogni piè sospinto, ma contro i quali non si può reagire. Il cristiano «porgi l’altra guancia» non può funzionare per un poliziotto, non è giusto.

Dovremmo avere un sano timore reverenziale per chi ci aiuta nel difficilissimo compito del mantenimento della civile convivenza. E questo non è sicuramente il modo. Se il nostro ordinamento vieta di farci giustizia da soli (articoli 392 e 393 del Codice Penale) dobbiamo affidarci a quelle donne e a quegli uomini potendo credere nella loro divisa.

Lino Rialti

Lascia un commento