L’IDENTIKIT DEL DETENUTO IN ITALIA

Spacciatore, tossico,
spesso straniero

 

Spacciatore, tossicodipendente e molto spesso straniero: questo l’identikit del detenuto tipo in Italia. A disegnarlo l’Istat che ci comunica anche che torna a crescere il numero dei detenuti nelle carceri. Infatti nel 2016 i carcerati erano 54.653, il 4,8% in più rispetto all’anno precedente. Una controtendenza rispetto agli anni scorsi definita «un segno di ripresa da monitorare attentamente». L’indice di affollamento, ossia quello che misura il numero dei detenuti ogni 100 posti, è infatti cresciuto nel 2016, ora è a quota 108,8, oltre tre punti in più rispetto al 2015. Il 95,8% dei detenuti è di sesso maschile, un quarto (25,9%) sono tossicodipendenti e un terzo – vale a dire 18.621 persone, il 34,1% – sono stranieri (di questi, il 17,6% sono marocchini, il 14,6% romeni e il 13% albanesi).

La depenalizzazione dei reati. La soluzione al problema del sovraffollamento delle patrie galere, nelle passate legislature, è stata la depenalizzazione dei reati, la riduzione delle pene, l’abbreviazione dei tempi di prescrizione e a più riprese, addirittura l’indulto. Ossia la riduzione o peggio l’annullamento della pena. Così, invece di pagare il debito con la Giustizia, lo Stato abbuona in parte o in toto il debito. Quando chi dovrebbe pagare viene «graziato» si realizza un’azione antieducativa nei suoi confronti. Per non parlare della popolazione che percepisce l’impunità come una sconfitta e con il senso di impotenza cresce l’insicurezza. Gli offesi dal reato, i danneggiati vedono vanificate le speranze ristoratrici perdendo fiducia nel sistema giudiziario. Ci perdono tutti tranne i criminali che si sentono liberi di commettere nuovi reati. Viene tradito nel profondo lo spirito ispiratore dei Padri Costituenti che all’articolo 27 della Carta hanno previsto la punizione dei rei e lo scopo rieducativo delle condanne e delle afflizioni che però vanno scontate. A fronte di oltre 250 mila furti all’anno nelle abitazioni solamente 3600 sono i detenuti in galera all’anno per questo reato.

Manca la certezza della pena. Lo scopo della pena, ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione, dovrebbe essere rieducativo. Ma alla base vi dovrebbe essere una certezza della pena che è il primo deterrente. Quando si fa un «decreto svuota carceri» come nel recente passato, la scusa è che non vi sono abbastanza celle. Ma la realtà è diversa. Vi sono, sparse su tutto il territorio nazionale una quarantina di strutture detentive terminate o ristrutturate da poco che però sono vuote. Sono le cosiddette «carceri fantasma». Istituti costruiti, inaugurati e mai utilizzati. Aperti e sfruttati solo in parte o per niente e poi dismessi. Rappresentano una fotografia di questa Italia che dello spreco di denaro pubblico è maestra. Intanto i detenuti stanno stretti e costretti in celle che dovrebbero contenere mediamente un paio di persone in meno e l’Europa ci multa per questo. Ma la preoccupazione maggiore dovrebbe essere quella per le condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria.

Le carceri chiuse. Gli agenti della Polizia Penitenziaria vivono in condizioni al limite della sopportabilità. Sono esposti a vessazioni, angherie, ricatti e non hanno nemmeno una legislazione che gli permetta di affrontare i delinquenti e li protegga da questi. In Italia abbiamo una quarantina di carceri non utilizzate per vari motivi. Il primo è la carenza, oramai storica, dell’organico della Polizia Penitenziaria. Il secondo è la mancanza di celle anche se di strutture pronte o quasi ve ne sarebbero una quarantina.
La Puglia guida questa triste classifica con Minervino Murge (Bari), mai entrata in funzione e mai completata, e Casamassima, che è stata chiusa. Nel carcere di Monopoli, alcuni senzatetto addirittura avevano trovato una collocazione nelle celle. Volturara Appula con la struttura incompiuta, Castelnuovo di Dauna, arredato e mai aperto. Sempre nel Foggiano altri tre casi: Accadia, Bovino e Orsara. Poi Francavilla Fontana, usato per un po’ e poi adibito a sede della polizia municipale, e Spinazzola, ora chiuso.

In Calabria Mileto, Cropani, Squillace (ristrutturato e mai aperto) e Arena, Soriano Calabro, Petilia Policastro e Cropalati. Poi Palmi, chiuso perché fatiscente. In Sicilia c’è Villalba (Caltanissetta) mai aperta. Agrigento con lavori di ampliamento senza fine.

In Campania. Gragnano è stato dismesso come Frigento. A Morcone (Benevento) il carcere è stato trasformato in hotel per migranti. In Abruzzo il carcere di San Valentino è stato trasformato in una struttura di accoglienza per turisti. In Toscana Pescia è stato chiuso. Ad Ancona un ampliamento è stato richiesto a più voci dai Radicali ma ancora la capienza langue di 80 posti. In Friuli c’è Udine, dove è stata eliminata la sezione femminile e Gorizia sotto organico. A Pisa la struttura è in «condizioni critiche» come affermano esponenti di Fratelli d’Italia e di An.

In Umbria la Casa Circondariale di Capanne è stata luogo di rivolte e singoli casi di violenza nei confronti del personale posto a vigilanza a causa della carenza di celle e di agenti come a Terni dove anche lì non c’è personale di polizia sufficiente e sono all’ordine del giorno atti violenti fra detenuti e anche azioni violente conto il personale di servizio. A Pinerolo, in Piemonte, carcere chiuso da anni. In Emilia Romagna gli esempi non mancano: nel ferrarese c’è Codigoro, che è chiuso.

Invertire la tendenza. Nei primi sei mesi del 2017, nelle carceri italiane, ci sono stati 22 suicidi di detenuti 4.310 atti di autolesionismo, 3.562 colluttazioni e 541 ferimenti. Forse è arrivato il momento di investire sulla sicurezza: aprire o riaprire le carceri chiuse ed assumere agenti.

Bisognerebbe, a costo zero, modificare norme e regolamenti che permettono ai detenuti di vagare senza meta per 8 o anche 10 ore al giorno fuori dalle celle e per i bracci senza far nulla, imponendo loro di lavorare.

Bisognerebbe poi addebitare realmente i costi di gestione del sistema penitenziario ai carcerati. Ai detenuti lavoratori, per legge, viene addebitata la ridicola somma di 3,62 euro al giorno teoricamente pari a due terzi del costo di mantenimento, quando il costo reale supera di gran lunga i 150 euro al giorno.

Visto che dallo scorso ottobre la paga del detenuto lavoratore è stata innalzata a 1000 euro si dovrebbe parimenti aggiornare la decurtazione da applicare quale rimborso. Magari quei soldi potrebbero essere girati alle casse della Polizia Penitenziaria. Così, per un vago senso di giustizia e civiltà.

Lino Rialti

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