RICORDO DI ACCA LARENTIA

«Avevo 14 anni
quando uccisero quei ragazzi»

Quarantacinque anni fa la strage di Acca Larentia

 

C’era la partita dell’Italia quella sera del 7 gennaio 1978. Lo ricordo ancora. Ero d’avanti al televisore quando il Telegiornale diede l’annuncio della strage di Acca Larentia. Avevo 14 anni e la Sezione missina di Acca Larentia era poco distante da casa mia. Rimasi sconcertato. Tre ragazzini erano stati uccisi a colpi di mitraglietta e pistola in mezzo alla strada.

I tre ragazzi uccisi: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano RecchioniPer il quartiere Tuscolano e la città intera fu uno shoc. Purtroppo, da anni, lo scontro tra giovani di opposte fazioni politiche stava «spiralando» verso la violenza totale e omicida. Bombe Molotov, colpi d’arma da fuoco, aggressioni, erano all’ordine del giorno.

La gioventù era quasi tutta schierata in due fazioni. Destra e Sinistra. I primi, pochi e spesso costretti a «mimetizzarsi» nella realtà cittadina, i secondi molti e attivi sul territorio in maniera capillare.

Tuttavia la militanza politica di Destra aveva una sua presenza attiva grazie alle numerose sezioni dell’Msi in tutti i quartieri della Capitale. A Roma Sud quella di via Acca Larentia, per tutti i militanti, era considerata un «baluardo» insieme a quella vicina di via Noto.

Il quartiere Tuscolano era sempre stato considerato un territorio appartenente al Pci e alla Sinistra extraparlamentare (come si definiva allora) e le due enclavi missine erano una vera e propria spina nel fianco degli attivisti comunisti.

La conseguenza erano scorribande violente e raid quasi quotidiani fatti a colpi di spranghe ma anche di pistolettate, dove ferimenti e tentati omicidi erano considerati una «normalità».

Quei bossoli sul selciato

Di quei giorni ho dei ricordi ancora molto chiari. Le auto bruciate in via Appia Nuova, i bossoli di pistola sul selciato, le molotov abbandonate ai lati della strada. In mezzo le Forze dell’ordine, consapevoli di avere a che fare con bande di giovani determinati e cattivi. In quei giorni si sparava ad altezza d’uomo.

Le scuole furono chiuse per precauzione e la gente se ne stava rintanata nelle case. Il giorno dopo la strage, da Acca Larentia partì un gruppo di manifestanti, nel tentativo di assaltare la sede del Pci di via Appia. La Polizia contrattaccò cercando di sfaldare la testa del Corteo.

Da ignaro spettatore incuriosito, vidi i vetri blindati dei mezzi della Celere crepati dai colpi d’arma da fuoco e i vasi di fiori volati giù dalle finestre delle abitazioni nel tentativo di colpire i manifestanti.

Dall’altra parte gli attivisti di Sinistra non se ne stavano con le mani in mano. Un muro di fuoco fu costruito grazie al lancio di decine di Molotov verso le camionette e i blindati azzurri della Celere.

Il caos nel quartiere

Il Quartiere era nel caos più totale! Negozi con le saracinesche abbassate, auto rovesciate a mo’ di barricate, le vetture del tram ferme e abbandonate, con i sassi della massicciata usati dai manifestanti come proiettili. Furono tre giorni di follia, che insanguinarono le strade di Roma.

Se oggi esiste ancora una Destra lo dobbiamo anche al sacrificio di quei tre ragazzi, che insieme a tanti altri continuarono nel loro progetto di militanza per mantenere viva l’ideologia identitaria, che stava per sparire sotto i colpi dell’attivismo extraparlamentare di Sinistra e non solo.

Di quel 7 Gennaio 1978 resta una targa commemorativa, il ricordo di tre giovani morti troppo presto e la speranza di essersi lasciati davvero alle spalle quegli anni terribili.

Massimiliano Burri

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