Mancano poche migliaia di firme per il Referendum abrogativo delle norme sulla caccia. Dal Comitato promotore e dalle persone che amano animali e natura arriva un appello accorato.
Firmare non vuol dire votare. Il diritto a votare ed esprime la nostra opinione sulla caccia nel nostro Paese, lo possiamo esercitare solo dopo che le 500mila firme, a dire il vero un po’ di più per sicurezza, sono state depositate presso la Cassazione, che dovrà accertare la legittimità del quesito referendario.
Gli interessi economici e politici di questa crudele pratica sono ormai evidenti. Giornali, televisioni hanno baypassato la notizia. Non l’hanno ritenuta rilevante?
Limitare la libertà dei cittadini, la loro sicurezza e quella degli animali domestici, d’affezione e da cortile, non è forse importante?
Inquinare con tonnellate di piombo boschi e campagne non è rilevante? Ripopolare e catturare animali da immettere per poi ucciderli è forse etico?
Per non parlare della gestione dell’emergenza cinghiali che, secondo i pareri di etologi, Ispra ed altri esperti, viene alimentata dall’esercizio dell’attività venatorio stessa.
È troppo semplice raccontare la favola del lupo cattivo, a cui assimilare orsi, volpi, e perché no, cinghiali.
Abrogando le norme che riguardano la caccia, non vuol dire abrogare la legge 157/1992 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio». Quelle sulla tutela e protezione della fauna selvatica rimarranno.
Animali e natura sanno come mantenere il giusto equilibrio, se solo il predatore più pericoloso: l’uomo, si mettesse da parte.
Ernesta Cambiotti