MUSULMANI IN ITALIA

Perché l’integrazione
è così difficile

 

Negli anni passati ho avuto modo di visitare qualche paese mussulmano. Quello più tollerante, ma parliamo di più di venti anni or sono, era la Tunisia. Per il resto, essendo una donna molto attenta a espressioni e impressioni, sono arrivata alla conclusione che i musulmani vivono in un’altra «dimensione».

Girando per le vie non vedi donne, in ogni caso mai da sole e sempre molto «coperte». Ricordo le vacanze in Egitto sul Mar Rosso, se avevi la «fortuna» di incontrare nei resort di lusso, qualcuna di loro era uno shock: al posto del costume una tuta nera lucente con sopra un abito nero e l’Immancabile velo. Così entravano in acqua e «prendevano» il sole. Un pugno nello stomaco solo a vederle.

La sensazione non migliorava quando gli uomini del posto, fuori delle strutture turistiche, ti guardavano. Nei loro occhi leggevi lo sguardo del padrone o meglio del cacciatore che scruta la sua preda, in alcuni casi con disprezzo. A nulla importava se eri accompagnata da tuo marito, al quale potevano arrivare a fare offerte in… «cammelli».

Le sfumature di questi comportamenti cambiavano a seconda del Paese, all’interno di questo dalla zona, città, periferia, luogo turistico, eccetera.

Questo era tempo fa. Ricordo una passeggiata lungo la spiaggia in Oman, alcuni ragazzini, incitati dai grandi incominciarono a tirare sassi, forse indispettiti dal nostro abbigliamento. E si, che ogni volta facevo attenzione, complice la mia allergia ai raggi del sole, di rigore, cappellino, pantaloni lunghi e camicia a maniche lunghe.

E poi vengono qui, non illudetevi, sono sempre loro. Non cambiano il modo di pensare o di considerare il prossimo, fingono, semplicemente, salvo eccezioni.

Ho avuto un cliente musulmano, allora sul campanello dello studio c’erano il mio nome e quello di un collega.

La prima volta che è entrato, gli è preso un colpo. Ho allungato la mano per salutare e ho visto l’angoscia nei suoi occhi, non voleva essere maleducato, mi sfiorò con la sua. Poi mi spiegò che quando un uomo mussulmano da la mano a una donna ha un significato bel preciso, strappandomi un sorriso insieme all’assicurazione di essere una donna già impegnata e che lo avrebbe seguito il mio collega. Nei suoi occhi ho sempre letto rispetto.

Un’altra esperienza, sempre qui da noi, con un «mussulmano molto praticante», così si è dichiarato alla mia domanda: di che religione sei? Il dubbio ti sorge quando evitano il minimo contatto, non ti guardano negli occhi e chiedono di parlare con tuo marito.

Io non mi sono persa d’animo e dopo diversi anni, quando mi ha salutata per andare in un altro paese europeo, ha alzato la mano, invitandomi a «un batti cinque» liberatorio.

Ma quello che mi ha detto dopo mi ha lasciato di sasso: «forse hai ragione tu, Dio è uno solo, anche se lo chiamiamo in modo diverso».

Forse un’illusione, Dio non può essere interpretato in modo così diverso.

Ernesta Cambiotti

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