FIRENZE

Morto il 29enne
investito dai Rom

 

È stata dichiarata la morte cerebrale di Duccio Dini, il 29enne investito da una delle auto coinvolte in un inseguimento tra quattro uomini di etnia rom in via Canova a Firenze.

Il ragazzo, fermo al semaforo in sella al suo scooter, era stato travolto da due auto, guidate da rom che si stavano inseguendo per un regolamento di conti. Le sue condizioni erano apparse subito disperate ed era stato ricoverato all’ospedale Careggi dove è spirato e dove la famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi. Un gesto di estrema generosità che stride con l’egoismo criminale dei suoi assassini.

A Firenze, mentre si espletavano le procedure per la donazione degli organi, si snodava il corteo organizzato da Fratelli d’Italia in ricordo del giovane. Comprensibilmente, qualche elemento più sanguigno, ha tentato di dirigersi verso il campo rom dal quale erano partiti i responsabili della morte del ragazzo. Le forze dell’ordine hanno evitato il contatto tra gli abitanti del campo ed i manifestanti.

Dalle indagini è emerso che le responsabilità sarebbero da ascrivere a tre uomini rom che ne inseguivano un quarto. I tre sono stati iscritti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Firenze per omicidio volontario, mentre sono cadute le accuse nei confronti del 43enne inseguito, ora considerato solamente un testimone.

La gravità del fatto è stata messa nero su bianco anche dagli inquirenti che hanno incolpato gli inseguitori di omicidio volontario, infatti i tre, scegliendo di inseguire l’auto del loro familiare nel corso di una spedizione punitiva, hanno accettato consapevolmente la possibilità di uccidere qualcuno, eventualità poi verificatasi. Gli indagati dovranno rispondere anche dell’accusa di lesioni personali gravi verso il loro familiare che, una volta speronato e fermato, volevano finire a colpi di mazza da baseball, eventualità scongiurata dall’intervento fulmineo dei Carabinieri e della Polizia Locale. Il quarto nomade, l’inseguito, è ricoverato in rianimazione, con una prognosi di 30 giorni, per un trauma cranico con ferite lacero contuse.

I tre nomadi indagati sono tutti noti alle forze dell’ordine per una lista lunghissima di precedenti: Amet Remzi, 65 anni, ha precedenti di polizia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, furto aggravato, violenza privata e sfruttamento della prostituzione. Mustafa Dehran, 36enne, anche lui finito in manette, è già noto per i reati di rapina, furto con strappo, ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Il terzo uomo, 44 anni, denunciato, ha precedenti di polizia per usura e furto.

Fortissima è la rabbia della popolazione che ammette di dover subire angherie continue da questo gruppo di nomadi che si è insediato nel quartiere già dagli anni ’80 e che il Comune di Firenze ha tentato di integrare ospitandone i componenti anche in appartamenti e case popolari. Integrazione difficilissima e non riuscita che anzi manifesta tutto il suo insuccesso nelle continue scorribande e dimostrazioni di forza che i più gentili tra gli abitanti del quartiere definiscono «fastidiose».

Il sindaco del capoluogo toscano Dario Nardella ha annunciato la costituzione di parte civile nel processo e il lutto cittadino per la morte del 29enne.

Ma costituirsi parte civile non può bastare: quello che manca al nostro ordinamento è la certezza della pena. Eppure la ricetta non sarebbe difficile, almeno a parere di illustri giuristi. L’abolizione della prescrizione dei reati con la fase processuale del rinvio a giudizio. L’abolizione dei costi per la Giustizia delle intercettazioni telefoniche attraverso l’aggiunta, nel contratto di servizio delle aziende operanti in telefonia con lo Stato, di una clausola che obblighi i gestori al rilascio delle linee e dei tabulati quale contropartita alla concessione a trasmettere. Così ci sarebbe un risparmio di circa 250 milioni di euro all’anno utilizzabili per finanziare l’ampliamento dell’organico della Polizia Penitenziaria così da poter riaprire quattro complessi detentivi ora chiusi per carenza d’organico.

L’inserimento dell’agente infiltrato e provocatore anche per i reati dove non è previsto. L’ampliamento delle ipotesi di reato che prevedano l’applicazione dell’art.41bis, il cosiddetto carcere duro. Una normativa che finalmente si metta dalla parte delle vittime e restituisca loro la fiducia nello Stato e nelle Istituzioni. E per i colpevoli una pena certa, scontata in un carcere attrezzato e moderno dove espiare la colpa e pagare il debito con la Legge magari imparando un mestiere da praticare tra le sbarre a titolo risarcitorio nei confronti dello Stato, dei suoi cittadini onesti e di tutte le vittime dei reati.

Lino Rialti

Lascia un commento