A MARGINE DELL’INCIDENTE DI BOLOGNA

Limiti, costi e rischi del
trasporto merci su gomma

 

Poteva essere una strage, invece è stato «solamente» un disastro! Lo spaventoso incidente alle porte di Bologna, nel quartiere di Borgo Panigale, al chilometro 3 della autostrada A14, riporta alla luce l’inadeguatezza del nostro sistema di trasporto. Tutto viaggia su gomma, dal dopoguerra ad oggi praticamente nulla è cambiato, anzi qualcosa lo è, l’intensità del traffico, cresciuta vertiginosamente e completamente fuori controllo. Solo il 6% delle merci viaggia su rotaia. Entro il 2030, come concordato con l’Europa, il 30% delle merci dovrà invece essere trasportato su ferro. Siamo, quindi in un clamoroso ed ennesimo ritardo.

Invece di invertire la tendenza, dagli ultimi dati diffusi da Anas e rilevati dall’Osservatorio del Traffico, si osserva addirittura un incremento sostanziale del volume delle merci trasportate dai camion.

Un esempio la Sicilia: il trasporto merci su gomma ha registrato un incremento del 18% rispetto al 17,4% dell’anno precedente. Un dato su tutti: negli ultimi 10 anni, il trasporto su rotaia ha perso il 40% di mercato. Colpa soprattutto degli ampi sussidi che gode il trasporto su gomma. Se infatti addirittura regioni come la Puglia hanno stanziato cospicui fondi per incoraggiare l’uso dell’autostrada da parte dei mezzi pesanti. Di converso nulla viene progettato per alleggerire il traffico pesante e deviarlo su ferro. Uno dopo l’altro gli scali merci vengono chiusi. Infatti avevamo un sistema molto più capillare 40 anni fa rispetto ad oggi dove sopravvivono solo gli scali merci più grandi ed importanti legati a grandi industrie o al servizio di grandi centri urbani, soprattutto del nord Italia.

A parte il pericolo che si concretizza con il trasporto merci da parte dei cosiddetti «bisonti della strada» dovuto all’aumento ed al conseguente rallentamento del traffico, c’è da considerare che il trasporto su gomma ha un impatto deleterio sull’ambiente. Polveri sottili, ossidi di azoto, idrocarburi, ossidi di idrogeno e molti altri composti vengono liberati nell’aria che respiriamo. Effetto serra, piogge acide e soprattutto malattie polmonari, irritazione delle mucose ecc. sono lo scotto da pagare…

E pensare che circa un terzo del consumo energetico europeo e delle conseguenti emissioni di Co2 è dovuto al traffico veicolare. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, le emissioni di Co2 derivanti dal trasporto ferroviario sono 3,5 volte inferiori, per tonnellata/chilometro, a quelle prodotte dal trasporto su strada. Senza aspettare l’auto o il camion elettrico o ad idrogeno, forse in arrivo in un futuro a medio termine, e che risolverebbe solo la parte legata all’inquinamento ma lascerebbe inalterato il problema congestione e sicurezza delle strade, potremmo iniziare a riutilizzare un mezzo pulito e sicuro già disponibile da subito: il treno, almeno per il trasporto lungo le dorsali e per viaggi a medio e lungo termine relegando alla distribuzione capillare finale il trasporto su gomma.

Questo trasporto si rivelerebbe non solo più «ecologico» ma molto più economico. Secondo un modello derivato da uno studio commissionato da Bruxelles, in Europa nel 2050, se non si invertisse la tendenza i costi per il trasporto merci supererebbero i 200 miliardi di euro l’anno. E questo senza pensare ai cosiddetti costi «collaterali» quali quelli dovuti alla spesa sanitaria incrementata a causa delle malattie connesse all’inquinamento e alla enorme spesa dovuta alle modificazioni climatiche e alle conseguenti catastrofi naturali, che già costatiamo, oggi come piogge torrenziali, allagamenti, frane o incendi.

Un capitolo a parte sarebbe da dedicare al nostro modello di sviluppo che generando effetti macro-climatici diffusi genera anche a lunga distanza siccità causa conseguente, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, di recenti carestie che a loro volta scatenano migrazioni perso i nostri lidi.

Solo un ultimo dato per rimarcare l’importanza di una non più procrastinabile riforma del sistema di trasporti: nel 2016 si sono verificati in Italia 175.791 incidenti stradali con 3.283 vittime e 249.175 feriti, i dati del 2017 sono peggiori per numero di vittime e vedono incrementato del 7,7% il numero dei sinistri. Sembrano i dati di qualche reporter al termine di una sanguinosa guerra e stridono se rapportati al numero di vittime causate da incidenti ferroviari nel 2017 in Italia: 101 incidenti con 56 morti, quasi tutti legati all’attraversamento di passaggi a livello.

È chiaro che è quindi di basilare importanza rivedere i Piani Regionali dei Trasporti ed a livello centrale cominciare a mettere in cantiere infrastrutture al servizio della mobilità civile e commerciale che invertano la rotta dall’asfalto al ferro.

La cosiddetta «cura del ferro» tanto sbandierata dall’ex Ministro dei Trasporti Graziano Delrio, e allo stato rimasta sulla carta, dovrebbe invece cominciare a vedere la luce concretamente. Non grandi opere faraoniche e cattedrali nel deserto utili a fare bottino di voti ma che depredano le finanze pubbliche, ma una politica di riconversione che parta dalle piccole realtà. Farebbe bene a noi, all’ambiente ed all’economia. Strategicamente parlando, potremmo così raggiungere una maggiore autonomia energetica riducendo il consumo di petrolio correggendo anche in parte la bilancia commerciale.

Lino Rialti

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