L’uccisione efferata di Giulia Cecchettin, da parte di quello che era il suo fidanzato e compagno di studi, ha stimolato un dibattito sulle presunte responsabilità della società patriarcale, dando origine a manifestazioni e iniziative di sensibilizzazione sul tema, sempre più di attualità, del femminicidio.
L’Italia si ferma col fiato sospeso seguendo la sorte di due fidanzati di cui si erano perse le tracce. Si fanno tante ipotesi, tra cui la fuga, e passa il giorno della laurea della giovane ragazza senza che si abbiano notizie. Un video, in cui si vede la vittima malmenata proprio dall’ex fidanzato, fa scattare la ricerca dell’indagato per tentato omicidio. Si ipotizza una fuga in Austria.
Sabato 18 novembre viene infine trovato il corpo esanime della ragazza avvolto da teli di plastica, con 20 coltellate inferte. Il giorno dopo si trova l’assassino, Filippo Turetta, fermo con l’auto senza benzina in Germania.
Viene richiesta l’estradizione. Intanto, la sorella della vittima, indica nel patriarcato insito nella nostra società la vera causa dell’uccisione di sua sorella. Si accendono proteste, si svolgono manifestazioni contro il femminicidio, di cui Giulia diventa la vittima esemplare.
Il dibattito, inevitabilmente innescato dalle dichiarazioni, si dipana e travalica anche in contrasto ideologico.
Che cosa si intende per patriarcato
Bisogna quindi partire dal considerare cosa sia questo fantomatico patriarcato, termine che, come tutti quelli piegati a fini ideologici, sembra non essere mai pienamente definito, ampliando e restringendo i suoi confini a seconda delle convenienze di chi lo brandisce, come il «razzismo», il «femminismo», eccetera.
In generale dovrebbe designare la detenzione del potere da parte del ramo maschile della società.
L’estensione del voto alle donne è sicuramente un indice del superamento di una condizione di disparità nell’esercizio dei diritti individuali, connotando non solo la legittimità, ma la pari dignità, pubblica, della donna.
Per un altro verso, la previsione del reato di adulterio femminile «poneva la moglie in condizioni di inferiorità morale e giuridica e ne offendeva la dignità personale, costringendola a sopportare le infedeltà del marito» (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n.126 del 16 dicembre 1968).
Si possono richiamare anche i recenti interventi, sempre della Corte Costituzionale (sent. n.131/2022), riguardo l’estensione della trascrizione al cognome materno al momento del riconoscimento dei figli, in quanto «la norma sull’attribuzione del cognome del padre è il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia».
Questa forma di soggezione della donna verso l’uomo, in ambito familiare e affettivo, è stata vista come fattore determinante, da un lato, la vulnerabilità femminile, e, dall’altro, la difficoltà di denunciare situazioni di pericolo.
La questione si può allargare alla possibilità di accesso a carche dirigenziali, di prestigio e di alta responsabilità, come alla retribuzione a parità di mansioni.
In ambito sociologico, poi, si dovrebbe stabilire se il modello educativo in generale e italiano in particolare, sia realmente patriarcale, e qui possono entrare in gioco stereotipi anche vetero maschilisti.
Il modello liberista un esempio di patriarcato?
Ad esempio, un modello estremamente competitivo e senza scrupoli come quello liberista, sembrerebbe accordarsi con una mentalità maschilista, con il culto della forza, anche fisica, il culto della prestazione, eccetera.
Ciò farebbe ritenere che l’inserimento della donna in questo ambito lavorativo, abbia accentuato l’animo machista anche delle cosiddette femministe, che hanno assunto i caratteri propri del maschio. Il ragionamento non è privo di riscontri.
Un altro aspetto da ascrivere presuntamente al maschilismo è la cultura del possesso, l’oggettivazione dei rapporti, trattare qualcuno come sua proprietà, una proiezione di sé stessi, un prolungamento del proprio corpo, per cui quella persona è mia (e la gestisco io).
Per quanto riguarda l’Italia in particolare, invece, non sembra mai essere stato il modello patriarcale quello dominante. Pur risentendo questa valutazione di inevitabili pregiudizi, la definizione della nostra nazione come popolo di «mammoni», indica casomai una lettura capovolta rispetto agli accostamenti con il patriarcato.
Solo una presunta incontrollata gelosia, precipitato della cultura del possesso, attribuibile ai latini in genere, potrebbe coinvolgerci, e connotare alcuni gravi delitti.
L’omicidio Cecchettin come delitto «patriarcale»?
Tutto ciò, comunque, non sembrerebbe attinente con l’omicidio della povera Giulia. La relazione affettiva era terminata al momento dei gravi fatti accaduti, almeno dal punto di vista della vittima.
Non sembrano esserci stati poi episodi pregressi di violenza, né la necessità di preservare alcun legame.
La soggezione, tuttavia, non può a priori essere esclusa, ma potrebbe ritrovarsi nel sentimento di empatia verso un ragazzo con cui aveva condiviso una storia sentimentale e la carriera universitaria.
Un sentimento di complicità, che, collegato alla fluidità dei rapporti dei ragazzi contemporanei, non permetteva di definire i nuovi ruoli in una maggiore distanza.
La sorella della vittima, oltre ad indicare nello Stato il primo responsabile, ha detto che Filippo Turetta aveva invitato la vittima a fermarsi con gli esami.
Può questo complesso di inferiorità essere stato la causa dell’omicidio, non ritrovandosi in un ruolo socialmente inferiore rispetto alla donna?
Non è certamente da escludere, anche se è interessante quanto riportato dal padre dell’assassino (ha confessato l’omicidio in un interrogatorio con la polizia tedesca), che, oltre a negare qualsiasi clima patriarcale in famiglia (discutevano addirittura del tema femminicidio che veniva affrontato in classe), risponde così all’intervista: «Filippo soffriva molto per la fine del rapporto con Giulia, ve ne eravate accorti?
Sì, soffriva. Ma continuavano a vedersi. I ragazzi a quell’età si lasciano, si mettono assieme. Lui, negli ultimi tempi, sembrava tranquillo.
In questi giorni mi hanno detto che dovevo preoccuparmi se quando andava a letto abbracciava l’orsacchiotto pensando a Giulia. Io davvero non ho dato peso a questa cosa. Avrei dovuto?».
L’assassino con l’orsacchiotto
Abbracciare un orsacchiotto a 22 anni, sembra il contrario della manifestazione della volontà di potenza maschile, e si avvicina più alla ipostatizzazione della figura materna, l’apice del matriarcato.
Ancora, i rapporti indiscriminati che si trasformano da sessuali in affettivi, e di amicizia, senza soluzione di continuità, sono il contrario di quella cultura del limite e dei confini, propria dello stereotipo del patriarcato, e di cui la nostra società si è fa vanto di voler superare in tutti i campi.
Giulia, per marcare la sua distanza rispetto al rapporto affettivo precedente, avrà dovuto imporsi, suscitando forse la reazione dell’ex fidanzato (una reazione tremenda stando alle parole del Gip).
L’audio svelato oggi 23 novembre sembra confermare questa ipotesi: la ragazza ha paura di allontanarsi dalla vita di Filippo che le dice che senza di lei si ucciderebbe. Giulia è preoccupata per la sua salute.
La stessa cultura del no, soppiantata dai sì facili che non fanno accettare qualunque rifiuto, è collegata, in maniera abbastanza unanime, all’educazione prettamente «patriarcale».
Omicidi e violenza di genere
Il prefetto di Padova, proprio in riferimento alla violenza di genere, in un dibattito che non poteva non risentire dei fatti recenti, ha diminuito la cifra dei femminicidi agli omicidi verso le donne commessi per motivi di genere.
Per molti attivisti questa è sembrata una minimizzazione, constatando, dal loro punto di vista, come ogni omicidio di una donna si fondi su uno squilibrio dei rapporti di forza, precipitato della maggiore prestanza fisica maschile.
In realtà, almeno nell’omicidio Cecchin, l’uso di un coltello non permette di valutare condizioni privilegiate del soggetto agente, mentre il presunto infierire, mentre Giulia era a terra, è indice di una ferocia esercitata a lungo.
Bisogna comunque chiarire che il femminicidio attiene più precisamente al movente dell’omicidio, non alle condizioni di minorata difesa della vittima.
La cultura patriarcale o, meglio, maschilista, anzi ancor più precisamente misogina (i tre termini non sono sinonimi), può essere sicuramente un indizio che si è consumato un femminicidio, tuttavia, non è automatica la correlazione.
Divampa la polemica politica
Le parole della sorella della vittima hanno certamente alimentato la polemica che non ha tardato a farsi strumentale, cercando, come sempre, di appropriarsi del sentimento delle piazze a fini elettorali.
Se la moda goth di chi, anche stravolto dal dolore, ha pronunciato l’accusa di patriarcato, può al massimo spiegare la reazione contestatrice e provocatoria agli eventi subiti dalla sorella, la tracimazione nell’accusa politica, il revival di vecchi stereotipi partitici, ha portato ad un nuovo (basso) livello lo showbiz della politica.
Imporre lo stigma sui propri avversari, sfruttando il corpo delle donne vittime, e di Giulia in particolare, è ripugnante.
Purtroppo, la scelta della Meloni come prima donna Premier è dura da far convivere con gli stereotipi della destra cultrice del patriarcato, e non della meritocrazia. Lo stesso esito delle primarie che hanno visto trionfare Elly Schlein, rispetto al più affidabile Bonacini, si spiega come reazione superficiale al primato della «donna Premier», evidenziando così la strumentalizzazione di genere sottesa.
Peraltro, la stessa storia personale della Meloni fa comprendere come l’esperienza della mascolinità tossica, che ripudia le proprie responsabilità, sia parte del bagaglio esperienziale del Premier.
Da questo punto di vista la foto postata in risposta alla Gruber aveva un significato meno superficiale di quello correlato alle ilari reazioni di qualche consumato esponente vetero Pd, come ad esempio Bersani.
È curioso, come, in mezzo a polemiche tanto puerili di fronte ad un immane tragedia, passi in sordina l’approvazione del 22 novembre 2023 del Disegno di legge per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica (qui), vero indice dell’impegno dello Stato.
A proposito di patriarcato, questa correlazione con i femminicidi sembra troppo semplicistica e miope di fronte a tante situazioni, come anche quella di Filippo, che sembra più un eterno bambino cresciuto nel matriarcato, e incatenato alle dipendenze affettive (il che non esclude che si tratti comunque di femminicidio).
In realtà, non esiste una causa univoca, ma padri e madri che (si spera) cercano di svolgere al meglio il loro ruolo, con inevitabili squilibri (tutti dannosi) da una parte e dall’altra.
Se alcuni segnali di aggressività latente sono ormai più familiari, dobbiamo anche abituarci a segnali apparentemente contrari, perché l’interiorizzazione del vittimismo può portare ad una forma, all’inizio manipolativa, e, in seguito, impositiva, e anche coercitiva.
Considerando il contesto apparentemente normale in cui si è sviluppato questo processo relazionale, dovrebbero approntarsi misure di sostegno, non solo di potenziali vittime, ma anche di chi senta segnali discordanti e impulsi (auto)distruttivi e incontrollabili. La nostra società, con l’individualismo esasperato che veicola, non è certamente preparata ad attenzionare certi fenomeni, che sembrano ricadere nell’inviolabilità personale.
Forse il tragico evento potrebbe aprire gli occhi su tante realtà anche mascherate da sottoculture che nascondono profondi disagi.
Armando Mantuano *avvocato
L’OMICIDIO DI GIULIA CECCHETTIN
L’ex Filippo Turetta arrestato in Germania del 19 novembre 2023