CANILI PRIVATI

Cresce il business
del randagismo

 

Il randagismo è un business. La ‘ndrangheta non si è di certo persa questa opportunità. Ma le prove dell’interesse della criminalità organizzata per i soldi che stanno dietro ai cani abbandonati sono molteplici e palesi da tempo. Se ci fosse stato bisogno di conferme, parlano gli arresti compiuti in questi giorni a Reggio Calabria dove, una vasta operazione di polizia coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Reggio Calabria ha portato a 11 provvedimenti di custodia cautelare.

L’inchiesta, denominata Happy Dog, ha consentito di accertare l’infiltrazione nel settore della «lotta al randagismo» degli interessi di persone ritenute vicine alla cosca Zagari-Fazzalari-Viola della ‘ndrangheta, con conseguente condizionamento degli appalti indetti dal Comune di Taurianova per l’assegnazione dei servizi di custodia e assistenza nei canili privati. Dall’inchiesta sono emerse anche le presunte condotte intimidatorie ed estorsive ai danni di un imprenditore del settore della custodia canina, vessato anche da persone vicine alle cosche di Platì e Sant’Ilario sullo Ionio. Tra le persone per le quali sono stati disposti gli arresti domiciliari c’è il direttore del servizio veterinario dell’Asp di Reggio Calabria, il veterinario dottor Antonino Ammendola.

Quello dei randagi è un settore molto interessante per gli speculatori: dietro ad un costo di circa 540 euro all’anno per cane, se la gestione viene fatta correttamente e se vengono tenuti in considerazione tutti gli aspetti del benessere e della tutela della salute del cane, i comuni versano mediamente 730 euro. Un margine di oltre il 25% sul costo fa gola a molti. Se poi la gestione viene fatta da speculatori il margine sale vergognosamente a discapito della qualità del servizio erogato agli ospiti.

Così nel corso degli ultimi due decenni sono fiorite associazioni pseudo animaliste e addirittura create vere società di capitali dedite alla gestione dei canili per conto dei comuni italiani. La pubblica amministrazione si è liberata di un settore strategico lasciandolo in mano ai privati. Questi in molti casi non posseggono nemmeno i canili ma gestiscono strutture di proprietà pubblica dietro compensi milionari. La prova dell’aborto di questo sistema sta nel crescente numero di cani nei canili.

Tanto si potrebbe fare, basterebbe copiare dalla vicina Olanda dove il fenomeno del randagismo è stato azzerato. Lì non ci sono, infatti, più cani nei canili, che restano aperti solo per ospitare quei pochi cani che fuggono dal guinzaglio dei padroni e che vengono poi riscattati con sanzioni di oltre 500 euro. Nei Paesi Bassi vige l’obbligo della sterilizzazione di tutti i soggetti. Chi non effettua la castrazione è obbligato a registrarsi in un apposito registro di «cani riproduttori» e paga una cifra di oltre 5.000 euro all’anno, così restano solamente gli allevatori professionisti che sono attentamente monitorati. Sanzioni draconiane per chi mal custodisce o addirittura maltratta gli animali con vere pene detentive. Questa piccola grande rivoluzione si potrebbe fare anche in Italia, ma forse si andrebbero ad intaccare troppe lobbie: quella dei cacciatori (primi responsabili del fenomeno dell’abbandono di cani non efficaci per la pratica della caccia), quella degli allevatori (vedrebbero una tassazione ed un controllo più stringenti), quella dei veterinari pubblici (che di colpo perderebbero poltrone comode e profumatamente pagate) e molte altre figure.

Insomma questa «rivoluzione» si potrebbe fare ma difficilmente si farà: infondo questa situazione fa comodo a molti, più o meno collusi se non con la mafia, almeno con l’interesse economico e con il non meno importante «potere» di andreottiana memoria.

Intanto i cani, da noi tanto amati, restano chiusi nei canili, gli unici ad essere reclusi senza aver commesso nemmeno un reato.

Lino Rialti

Lascia un commento