CALO DEMOGRAFICO
In Italia culle
sempre più vuote

Secondo i dati Istat pubblicati sulle «Stime 2016 degli indicatori demografici», i residenti in Italia al primo gennaio 2017 erano 60 milioni e 579mila, 86mila in meno rispetto al primo gennaio del 2016 (-0,14 per cento). Prosegue il calo delle nascite: nel corso del 2016 superato il record negativo risalente al 2015, quando le nascite erano state 486mila; siamo scesi a 474mila. Calate anche le morti, 608mila contro i 648mila del 2015, un dato in linea con la tendenza all’aumento dell’invecchiamento della popolazione.

Il saldo naturale, dunque, costituito sottraendo i decessi dal bilancio delle nascite, registra nel 2016 un valore negativo per 134mila persone: è il secondo maggior calo di sempre, superiore soltanto a quello del 2015 (-162mila), ma il valore non incide sul numero di residenti perché equivale al saldo opposto, positivo, nei flussi migratori con l’estero: +135mila persone. La riduzione delle nascite è stata del 2,4%: interessa tutto il territorio nazionale con l’eccezione della Provincia di Bolzano che registra invece un incremento del 3,2%. Il numero medio di figli per donna, in calo per il sesto anno consecutivo, si assesta a 1,34. Rispetto all’anno precedente, spiega l’Istat, i tassi di fecondità si riducono in tutte le classi di età della madre sotto i 30 anni mentre aumentano in quelle superiori. La maggiore riduzione è più accentuata nella fascia di età 25-29 anni (-6 per mille), l’incremento più rilevante è, invece, nella classe 35-39 (+2 per mille).

Culle sempre più vuote, nonostante i continui appelli da parte anche e soprattutto della classe politica italiana, a procreare di più, per scongiurare una sorta di estinzione futura, al pari di un aumento della popolazione straniera nel nostro paese. Purtroppo però, ci si dimentica che un figlio non rappresenta un freddo numero statistico, ma una persona cui riservare una vita quanto più dignitosa possibile.Il calo è frutto di una società dove i giovani, laureati e non, faticano a trovare un lavoro stabile, fatto di un precariato rinnovabile e contratti a volte al limite della regolarità; famiglie giovani e non che affrontano le difficoltà grazie al supporto genitoriale, soprattutto economico. La precarietà del lavoro si traduce in mancati investimenti per acquistare una casa, o addirittura difficoltà a pagare regolarmente fitti ed utenze.

Forse rivedere i contratti di lavoro, il sistema pensionistico, affrontare il problema della legalità, rivedere il sistema di attribuzione degli alloggi popolari, il credito agevolato per i giovani potrebbe essere da traino per un aumento delle famiglie. Inoltre garantire una detrazione agevolata nei primi tre anni di vita, ad esempio, di tutto ciò che viene acquistato per la salute e benessere del bambino, che purtroppo non è sempre a buon mercato. Pensare da famiglia agevolerebbe di molto il proporre in modo sensato, a fronte di inutili appelli a far figli.

Gaetano Di Terlizzi

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