27 AGOSTO 1943-2022

Le bombe americane
su Caserta

13 agosto 1943, bombardamento di Caserta. I B-26 Usa fecero 115 morti e oltre 300 feriti

 

Estate 1943, il fascismo è caduto nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio. L’Italia è ancora alleata dei tedeschi e gli anglo-americani risalgono la penisola e meditano uno sbarco a Salerno. Per agevolare l’avanzata bombardano le linee di rifornimento e logistiche degli italiani. Il 27 agosto è la volta di Caserta.

La stazione di Caserta, principale obiettivo del bombardamento americano del 27 agosto 1943L’obiettivo di una squadra di 53 bombardieri B-26 è la stazione ferroviaria, snodo per il trasferimento di truppe, munizioni e viveri. Puntano anche al Comando tedesco situato in una villa sul Corso Trieste arteria principale della cittadina.

A causa dell’imprecisione del lancio e della presenza di vento furono colpiti diverse strutture civili nell’arco di un raggio di 500 metri dalla stazione: la Reggia, l’ospedale civile, l’istituto salesiano Sacro Cuore di Maria, il liceo classico Pietro Giannone, la Cattedrale di San Michele Arcangelo e il rifugio antiaereo Ricciardelli in Corso Umberto (l’odierno Corso Trieste).

Il bilancio delle vittime sarà di 115 morti, di cui 20 ferrovieri, e oltre 300 feriti.

La testimonianza della signora Elisa 

Abbiamo chiesto a Elisa d’Andria, testimone che aveva allora dieci anni, cosa ricorda del bombardamento di Caserta del 27 agosto 1943?

«Era verso le 12, vivevo a Corso Trieste, stavo con mia sorella Lucia nell’ingresso dello studio di mio padre Gennaro d’Andria. Giocavamo, con delle mollette appuntate ai vestiti, alle signore. Mia madre Maria aveva tagliato la frutta, insieme a mia cugina Linda, per preparare la marmellata di percoche e c’erano tutti i recipienti in lavorazione. Mia sorella Annamaria era nel passeggino in veranda a dormire.

Aveva suonato la sirena di allarme ma non eravamo scesi nel rifugio perché, essendo il 27 del mese, mia madre, insegnante, era scesa a ritirare lo stipendio. Solitamente scendevamo sempre nel rifugio e mio padre si portava mia nonna Lucia, sua madre, in braccio. C’era tutto un sistema di cantinati collegati tra di loro e molto ampi e si poteva entrare da una strada ed uscire da un altro palazzo in un’altra strada. Non immaginavamo ciò che sarebbe successo.

Il primo impatto fu con il fragore dei vetri della veranda che andavano in pezzi e cadevano per terra. Io e mia sorella scappammo e ci andammo a nascondere in camera da letto, presto seguiti da mio padre e dal resto della famiglia. Mia zia Giulia piangeva ed urlava. Non durò molto.

La carrozzina di mia sorella si riempì di vetri ma lei non si fece niente (morirà di pertosse, un po’ di tempo dopo, malattia oggi facilmente curabile con antibiotici allora introvabili). Appena finito il bombardamento ci affacciammo al balcone a salutare Alfredo De Negri, cognato di mia madre, che abitava in un palazzo vicino. Avevamo avuto molta paura.

Il ricovero antiaereo Ricciardelli fu preso in pieno da un paio di bombe e diventò una trappola per chi ci si era rifugiato. Per giorni continuarono ad estrarre cadaveri.

Mio padre si attivò subito per cercare un alloggio fuori Caserta dove sfollare. Trovò posto in un ex colliera in una frazione di Caserta, Casolla, dove ci trasferimmo tutti quanti. Eravamo circa 15 persone e la proprietaria quando ci vide arrivare si mise le mani tra i capelli non aspettandosi tanta gente. Passato il fronte poi tornammo a casa».

Stefano Chirico

 

 

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