ANDREA SCANZI

L’intervista «proprio bella»
al «corvo» del caso Sgarbi

 

di Giuseppe Pollicelli

In un video pubblicato su YouTube lo scorso 6 febbraio, il giornalista del Fatto Quotidiano e opinionista televisivo Andrea Scanzi si è detto convinto di avere realizzato, il giorno prima, un’intervista — sempre reperibile su YouTube — di grande valore («proprio bella», la definisce lui) a Dario Di Caterino, il quale ha svolto il ruolo di factotum per Vittorio Sgarbi dal marzo del 2022 al settembre del 2023, occupandosi soprattutto della comunicazione social del critico d’arte ed ex sottosegretario alla Cultura.

Di Caterino è colui che, a ottobre del 2023, mandò alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e a vari giornali (tra cui Il Fatto Quotidiano, l’unica testata ad avere ripreso le sue denunce facendone seguire un’inchiesta condotta dal cronista Thomas Mackinson) la mail anonima, inviata dall’account eventi@vittoriosgarbi.it, in cui si informava delle attività di natura intellettuale regolarmente svolte da Sgarbi e di recente valutate dall’Agcm (o Antitrust) come non compatibili con la carica di sottosegreatario — indipendentemente dal fatto che fossero o no remunerate — sulla base della cosiddetta legge Frattini.

A prescindere dalla fondatezza delle molte cose dette da Di Caterino nell’ora abbondante che gli è stata concessa (per lo più accuse rivolte alla compagna e manager di Sgarbi, Sabrina Colle, accuse di cui Di Caterino ha detto di assumersi la responsabilità civile e penale), a noi pare indiscutibile che la sua intervista, in realtà un monologo contrappuntato dalle imbeccate complici dell’interlocutore, ben lungi dall’essere «proprio bella» costituisca un pessimo esempio di giornalismo.

La compiacenza di Scanzi

Durante tutta la «chiacchierata», difatti, Scanzi non ha mai mosso alcuna obiezione a Di Caterino, anche nei casi in cui le sue esternazioni lo avrebbero fortemente richiesto, viceversa assecondandolo in maniera passiva e addirittura, come già sottolineato, pungolandone la loquacità sino a farla approdare nei territori della più schietta e gratuita maldicenza.

La prima cosa rispetto alla quale Scanzi, da giornalista, avrebbe dovuto incalzare Di Caterino è l’inverosimile versione da quest’ultimo fornita circa l’anonimato della mail.

Di Caterino afferma infatti di non averla firmata per una semplice dimenticanza (come no), nella foga dell’invio (ma fino a un momento prima aveva specificato di averla preparata con grande accuratezza e impiegando molto tempo) e però, guarda caso, l’ha spedita da un indirizzo ufficiale di Sgarbi direttamente a lui riconducibile, così da rendere anonimo sé stesso ma affidabile la provenienza del messaggio.

Quindi Di Caterino ha affermato, per suffragare questa sua ricostruzione, di essere di lì a poco uscito sua sponte allo scoperto, ma questo non sembra essere vero: Di Caterino si «dichiara» soltanto il 21 novembre, quando ormai il suo nome aveva iniziato a circolare quale autore della missiva, e difatti risalgono al 21 novembre sia la prima apparizione delle sue generalità sul Fatto Quotidiano, in un articolo di Mackinson, sia la prima esplicita menzione della sua persona da parte di Sgarbi (in un video pubblicato su Facebook e altrove).

Racconti che non stanno in piedi

Invece di fargli notare come questi racconti non stiano in piedi, Scanzi pensa bene di complimentarsi con Di Caterino e gli dice: «Hai fatto bene a specificarlo». Ancora, Di Caterino (che tra le altre cose è gravato da una condanna in primo grado per truffa e fino a poco tempo fa, stando alla testimonianza del giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio, utilizzava un altro cognome presentandosi come Dario Antonio) vorrebbe almeno in un primo momento far credere di aver mandato la sua mail poiché animato da sete di giustizia e perché ormai disgustato dal mancato rispetto, da parte di Sgarbi, della legge Frattini.

Peccato sia lui stesso a spiegare, dopo poco, che la mail non è stata altro che una ritorsione per non avere visto riconosciuti da parte di Sgarbi non meglio precisate «situazioni professionali» e per essersi ritrovato nella brutta situazione (riferiamo alla lettera quanto detto da Di Caterino, ignorando se risponda o no alla realtà dei fatti) di dover pagare decine di migliaia di euro di multe dopo avere incautamente accettato di presiedere una società fondata da Sgarbi all’apposito scopo di prendere automobili in affitto.

Il latino massacrato

In tutto ciò, Scanzi seguita a risultare non pervenuto, se non per massacrare il latino pronunciando «lectio magistralis» appunto «lectio» anziché «leczio» (in un video di qualche giorno prima, d’altronde, aveva pronunciato «septies», che è sempre latino, «septis», all’inglese: eppure, avendo fatto il liceo scientifico, il latino dovrebbe averlo studiato).

Risulta, poi, che per nascondere il fatto di essere finito agli arresti domiciliari, Di Caterino abbia simulato a suo tempo, con parenti e conoscenti, di essere finito in coma, circostanza confermata anche da Vulpio nel suo video.

Scanzi, vivaddio, gli chiede chiarimenti sul punto, ma Di Caterino si guarda bene dal rispondere nel merito e ribatte con affermazioni che saranno senz’altro vere ma obiettivamente non c’entrano un tubo, ossia di essere stato «assolto da una serie di vicende giudiziarie note a Sgarbi», di sorridere di fronte all’accusa mossagli da Sgarbi di essere un pregiudicato dato che «Sgarbi è un pluricondannato» e di non poter più tollerare di essere circondato da individui che gli rendevano la vita insopportabile, in particolare Sabrina Colle, da lui definita «anima nera», e il capo segreteria di Sgarbi, Nino Ippolito, da Di Caterino gratificato dell’epiteto di «scagnozzo della Colle». A Scanzi va bene così.

I presunti ricatti

Si passa quindi ai presunti ricatti (un pallino di Scanzi, questo) a cui Vittorio Sgarbi avrebbe finora sottoposto Giorgia Meloni e il governo tutto per non venire dimissionato. Qui, dopo avere regalato una perla che fa il paio con il precedente latinorum scanziano (ovvero deformare l’espressione inglese «exit strategy» in «ex strategies»), Di Caterino presume che Sgarbi voglia mercanteggiare con la Meloni una candidatura alle prossime elezioni europee, però non con Fratelli d’Italia ma nelle file di un ancora inesistente partito che lui (lui Sgarbi) dovrebbe prossimamente costituire con Stefano Bandecchi e Cateno De Luca.

Come dovrebbe entrare la Meloni in questo ipotetico scenario, francamente non è chiaro. Almeno a noi, ma forse a Scanzi sì visto che non batte ciglio. Poi la bomba: Sabrina Colle avrebbe fatto capire a Di Caterino, quando ancora i due collaboravano, di essere in possesso di informazioni riservate, e molto compromettenti, su Maurizio Gasparri, ergo sarebbero queste ultime l’arma di ricatto in mano a Sgarbi. Vero? Non vero? A Scanzi sembra interessare relativamente.

Ci si avvia alla conclusione e Scanzi annuncia, bontà sua, di voler chiudere in leggerezza, facendo raccontare a Di Caterino un po’ di aneddoti. È il momento in cui si tocca il punto più basso della chiacchierata-monologo, giacché, sopraffatto dal suo narcisismo, Scanzi (che Di Caterino, certo disinteressatamente, non trascura di elogiare in quanto «bel ragazzo», a differenza di Sgarbi che è brutto e per questo rosica), non riesce a trattenersi dall’incitare l’ex factotum a raccontare in pubblico ciò che in precedenza aveva detto a lui in camera caritatis.

Le visualizzazioni dello «Scanzipatico»

E cioè, in primo luogo, che Sgarbi nutrirebbe per Scanzi una vera e propria ossessione, tanto da voler realizzare compulsivamente video contro di lui dal momento che, appunto, Scanzi è bello e con i suoi video fa un sacco di visualizzazioni (anche grazie a Sgarbi, verrebbe da dire, considerando quanti gliene dedica); e, in secundis, il neologismo con cui la Colle, forse anche lei ossessionata, sarebbe solita appellare Scanzi medesimo, ossia «Scanzipatico».

Neologismo che dà la stura all’immersione nel pettegolezzo più bieco, che si registra quando Di Caterino, sempre dietro sollecitazione di uno Scanzi in evidente difficoltà nel reprimere il proprio compiaciuto divertimento, spiffera in che modo Sgarbi abbia talvolta, privatamente, definito alcuni giornalisti televisivi: «stronzetto» Paolo Del Debbio, «coglione» Nicola Porro ed «essere insignificante» Giuseppe Brindisi.

Difficile giustificare giornalisticamente (e non solo) una caduta del genere. Perché è sicuramente brutto che Sgarbi, con una delle sue iperboliche e sovente sgradevoli sortite, abbia augurato la morte ai cronisti di Report e del Fatto che lo tallonavano sulla faccenda del dipinto seicentesco attribuito (da Sgarbi) a Rutilio Manetti, ma è ancora più brutto che solo per appagare gli aficionados e vellicare il proprio ego privo di misura si creino i presupposti concreti per far morire le relazioni — professionali o amicali che siano — tra le persone, nella circostanza tra Vittorio Sgarbi e i tre giornalisti sopra citati. Andrea Scanzi, però, insieme a molti di coloro che ne hanno commentato il video, pensa — e, non ne dubitiamo, continuerà a pensare — che ciò che ha fatto sia «un’intervista proprio bella».

Giuseppe Pollicelli

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