Alfredo Cospito si trova in prigione per aver gambizzato nel 2012 l’Ad dell’Ansaldo e per aver collocato nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2006, due bombe artigianali in un cassonetto vicino alla scuola per carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo.
L’attentato, rivendicato con la sigla Rivolta Animale e Tremenda/Federazione Anarchica Informale (Rat/Fai), fu condotto con una tecnica «a trappola»: due ordigni esplosivi, uno minore come richiamo, e il secondo ad alto potenziale, temporizzato, per fare vittime. Solo per casualità non vi furono morti o feriti.
Per il primo reato l’esponente della Federazione anarchica informale è stato condannato nel 2012 a dieci anni e otto mesi mentre per il secondo a 20 anni di carcere nel 2013.
Le due condanne e poi il 41bis
Il 5 maggio 2022 Alfredo Cospito è stato posto in regime cd di «carcere duro» ai sensi dell’art 41bis della legge 10 ottobre 1986, n. 663 nel penitenziario di massima sicurezza di Bancali in Sardegna per i «numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario […] documenti destinati ai propri compagni anarchici, invitati esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci».
In singolare coincidenza con la nascita del nuovo Governo, si è cominciato da più parti ad invocare la revoca del carcere duro per il condannato.
Ci hanno provato con il ricatto umanitario: il prigioniero che inizia lo sciopero della fame e lo porta avanti a oltranza, per più di 120 giorni, assicurando che si lascerà morire se le sue richieste non verranno accolte. Non ha funzionato.
Ci hanno aggiunto le minacce, implicite ed esplicite, tra raduni pubblici in predicato di trasformarsi in violenze di piazza e annunci di attentati contro persone e istituzioni. Non hanno funzionato.
Ma è il caso di ricordare, in particolare, quelle contenute in una lettera diffusa una decina di giorni fa dai militanti della Fai fa da sigla-ombrello per i sedicenti «anarchici insurrezionalisti». I quali, tuttavia, agiscono in chiave spontaneista e auto organizzata.
Le minacce della Fai
Il testo, esemplare nel suo genere, indicava come bersaglio il manager di un’importante azienda, probabilmente l’Iveco, e lo definiva un «verme della società che orienta e determina le guerre per fare ricchezza ingiusta con qualsiasi mezzo, traditore di ogni ideale per arricchire il sistema indossa mille maschere ma vende morte e non lo racconta nemmeno ai figli». Dopodiché, ne dava per già decisa e incombente l’esecuzione: «verrà colpito a morte davanti alla famiglia».
Nel frattempo, in un paradossale miscuglio di istanze legali e di metodi terroristici, si sono appellati alla Cassazione affinché intervenisse per via giudiziaria su ciò che il Governo, giustamente, non intendeva concedere.
Non ha funzionato nemmeno questo.
La Corte di Cassazione conferma il 41bis
Nella giornata di ieri, infatti, la Suprema Corte si è espressa nel modo più reciso tra quelli che aveva a disposizione: evitando la scappatoia del rinvio al Tribunale di sorveglianza, che pure era stato prospettato l’8 febbraio scorso dal suo stesso procuratore generale, Pietro Gaeta, e stabilendo invece che la misura del carcere duro appare legittima. E che Alfredo Cospito, perciò, dovrà continuare a scontarla.
Detto chiaro e tondo: la sentenza di ieri è stata la risposta necessaria, e persino doverosa, al modo in cui si è cercato con ogni mezzo di forzare la mano alle pubbliche istituzioni. In una prospettiva di scontro frontale che aveva fatto del ricorso alla Cassazione una questione politica, prima ancora che giuridica.
Di fronte a un attacco come questo, che pretendeva di costringere lo Stato a piegarsi alle pressioni/intimidazioni di un gruppuscolo semi clandestino, i margini di manovra si azzerano. Perché qualunque concessione assumerebbe il significato di un cedimento. Nonché di un precedente, pericolosissimo, su cui si avventerebbero coloro i quali non vedono l’ora di poterlo sfruttare a proprio vantaggio. A cominciare, si intende, dai mafiosi che sono i principali destinatari del 41 bis.
Dagli anarchici attentati fine a sé stessi
Ed è stato proprio qui l’altro grande errore della Fai: associare le rivendicazioni a favore di Alfredo Cospito a un rifiuto generalizzato del carcere duro, tacciato di essere una «tortura». L’intento, presumibilmente, era mascherare da battaglia universale e idealistica la difesa faziosa di un aderente di spicco, ma l’esito è andato in direzione opposta: un conto è sollevare dall’aggravio un singolo individuo, in forza della sua specifica vicenda processuale, tutt’altro è spingersi ad abolire la norma in quanto tale.
Ma questa, forse, è un’interpretazione persino benevola. Perché lascia spazio all’idea che quelli della Fai siano in grado di modulare in maniera logica e graduale la loro ostilità nei confronti di quello Stato che disconoscono in radice.
Mentre è assai più probabile il contrario. Ossia che si tratti di persone incapaci di qualunque misura, ossessionate dal bisogno di scagliarsi contro l’ordine costituito a causa di un’insofferenza psichica che sconfina nella sociopatia.
La loro, quindi, non può nemmeno essere definita una vera e propria strategia. È solo rabbia smaniosa di scatenarsi. È un’avversione viscerale e incontrollabile, che non a caso si nutre di attentati fini a sé stessi: come lo sono sempre quelli compiuti in assenza di una verosimile opportunità di sollevazione popolare su vasta scala.
Definirsi «insurrezionalisti» diventa falso e addirittura grottesco, quando di un’effettiva insurrezione non c’è neanche l’ombra.
Gerardo Valentini