PUGILATO

Olexandr Usyk
è il nuovo re dei Massimi

L'ucraino Olexandr Usyk è il nuovo campione del mondo dei pesi massimi a cinture unificate.

 

Avevamo segnalato in un precedente articolo l’attesa che cresceva tra gli appassionati di pugilato per l’approssimarsi del 20 maggio, giorno del match tra Olexandr Usyk e Tyson Fury. I due pugili detenevano insieme le cinque cinture dei pesi massimi e pertanto dopo 25 anni sarebbe finalmente emerso il campione indiscusso della categoria.

Alla none ripresa il colpo di Olexandr Usyk che probabilmente decide l'incontro con Tyson FuryLe ore precedenti avevano visto le scintille del padre del campione britannico che non aveva retto alla grande tensione accumulata, dando vita ad una rissa o, meglio, ad un isolato «colpo di testa» da parte sua che aveva provocato solo il suo sanguinamento.

Subito dopo si è assistito alla conferenza stampa con i campioni attorniati dai rispettivi promoter, e poi alla «cerimonia» del peso.

Le schermaglie del prematch

Nella conferenza stampa, interessante notare il differente approccio tra i due: l’entourage di Usyk dedica una poesia di Henry Longfellow che parla della pioggia che cade in ogni vita e di come al di là di essa il sole splenda sempre, mentre Fury, ringrazia il Signore per la vittoria già ottenuta (citando, forse inconsapevolmente, Sun Tzu, con il motto a conclusione del precedente articolo).

Alla fine, il pugile britannico evita lo sguardo dell’ucraino, per mostrare i suoi bicipiti, mentre alla «cerimonia» del peso lo affronta con la testa.

Il pugile ucraino, che indossa la maglietta con la croce slava con scritto in greco ortodossia o morte, sventola alla fine la bandiera ucraina, attenzione, non una qualsiasi, ma quella appartenente al reparto di intelligence dell’esercito ucraino, con tanto di motto «sapiens dominabitur astris», forse a esplicitare il dominio della scienza pugilistica sull’istintualità dell’avversario.

Comincia l’incontro

L’ingresso, presenta il pugile ucraino vestito da soldato cosacco, mentre la vestaglia di Fury è più sobria con citato sopra il versetto del Vangelo di Giovanni, al cap. 3, verso 16 «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».

Al gong c’è la canonica fase di studio con qualche isolato colpo in più per Usyk, mentre già dal quarto round Fury prende un deciso margine dilagando con velocità e classe, piazzando micidiali montanti di incontro che fermano le reiterate avanzate dell’avversario.

Lo stile con la guardia bassa gli permette traiettorie imprevedibili e una maggiore scioltezza, una precisa strategia che non è da confondere con una deliberata sottovalutazione dell’avversario.

Ad una sempre più netta superiorità del pugile britannico, Usyk risponde intensificando gli assalti cercando di non incassare i colpi di sbarramento, anzi di eluderli con schivate veloci e con i movimenti del busto (che ricordano i movimenti di un altro Tyson, Mike, che scontava sempre la sua bassa statura), cercando di intercettare la lontana testa dell’imponente avversario.

Alla nona ripresa Fury barcolla

L’insistenza del pugile ucraino viene premiata e, nonostante la distanza, riesce a colpire il viso dell’avversario con ganci precisi e potenti, che, nella nona ripresa fanno barcollare Fury. Usyk ne approfitta, incalzando di colpi l’avversario fino a rendergli il viso una maschera inespressiva.

Fury però non cade, rimane quasi insaccato nelle corde, ma non cade. La sensazione è che sia ko in piedi, anche perché, se no, si dovrebbe far continuare il martellamento, ma l’arbitro è di diverso avviso. Secondo le regole WBC (art. 12), se le corde frenano la caduta, viene effettuato ugualmente il conteggio, che permette un miracoloso recupero che diviene più solido con il riposo: letteralmente «saved by the bell» (una delle regole della boxe professionista stabilisce se lo spirare dei tre minuti fa terminare o no il conteggio del knockdown).

Usyk, comunque, non si scompone né contesta, e, dal round successivo, prende sempre il vantaggio nonostante alcuni buoni colpi di Fury, che dimostrano la sua pericolosità. Il finale è tutto un assalto di Usyk e un tentativo di replica dell’altro.

Vittoria ai punti per Usyk

Il verdetto è incerto, sul filo di lana, due giudici assegnano la vittoria per il pugile ucraino, uno per 114 a 113, e un altro con lo stesso punteggio lo assegna al britannico. È la vittoria per Usyk! Preceduta da un significativo «from Ukraine», dell’iconico e storico ring announcer, Michael Buffer.

Nel post match, Usyk dimostra la sua poca dimestichezza con l’inglese, tanto da lasciare il microfono all’avversario, dopo numerosi abbracci e baci tra i due, e ritirarsi tra il suo gruppo.

Le parole più importanti, infatti, le dice direttamente in ucraino, suscitando un’ondata di approvazione, fino all’ormai consueto «slava ucraini».

Un consiglio comunicativo, meglio farsi tradurre l’ucraino che abbozzare l’inglese senza farsi capire con un inutile dispendio di energie e concentrazione, anche perché, se il re è ucraino, è l’uditorio che deve adeguarsi.

Nel post match, Fury, nonostante i complimenti all’avversario, fa un po’ di polemica accostando la vittoria assegnata dai giudici, contro la sua percezione, con la simpatia verso la causa ucraina.

Nella conferenza stampa non confermerà queste parole, ma ribadirà che per lui la vittoria era da assegnargli, suggerendo anche un pareggio. Nonostante poi l’annuncio di un imminente rivincita nemmeno questa decisione è definitiva.

Il gruppo di Usyk, invece, lamenta il mancato stop dell’incontro al nono round, a cui il pugile ucraino, però, in conferenza stampa, non dà molto peso, anche per l’esito del match.

I due pugili sono concordi poi nel non parlare adesso di rivincite, anche considerando l’allenamento eremitico e prolungato (da settembre) a cui si sono sottoposti.

Il carattere dei due pugili

Più interessante analizzare poi il carattere e gli ideali che muovono i due pugili, dai quali si evincono similarità e anche differenze.

Fury, 7 figli, un altro forse in arrivo, è legato a valori conservatori, in controtendenza rispetto alla società britannica in tema di famiglia e aborto. Inoltre, è anche protagonista di un reality show. Il marcato riferimento a Gesù evocato a fine match è sicuramente una radice in comune con Usyk, che, oltre alla famiglia (il nome Maria, in bella vista sui pantaloncini), ha caro anche il senso di patria.

Le similitudini però finiscono qui perché, se il pugilato ha spesso conosciuto attori dal passato difficile, magari criminali più o meno redenti, rari per non dire unici, sono i soldati impegnati effettivamente in un conflitto. Il popolo ucraino, già dall’indole guerriera, ha infatti un rappresentante che ha vissuto gli orrori della guerra in prima persona, avendone pagato il prezzo perfino un suo amico della nazionale e allenatore dei bambini Oleksiy Dzhunkivskyy, ucciso nella sua palestra che Usyk ha finanziato per ricostruire.

Per questo, è stato infelice il riferimento ad una presunta Fury’s army (esercito di Fury), per indicare i tifosi del britannico, nella conferenza stampa pre-match. Quelli di Usyk, infatti, sono, a tutti gli effetti, anche i suoi camerati, e bastava vedere lo sguardo dell’Ucraino per intuire ciò che evocavano quelle parole

Si tratta insomma di motivi ideali molto diversi, la fama per l’uno, il riscatto sociale e il conforto del suo popolo per l’altro. Solo una contrapposizione stile Rocky IV avrebbe potuto compensare la differente determinazione (da notare che il manager di Usyk, Egis Klimas, sembra il sosia dell’allenatore di Ivan Drago).

La testimonianza cristiana in Arabia Saudita

Qualcos’altro di veramente inedito è poi accaduto se si pensa che, nel maggior luogo santo dell’Islam, non solo i due atleti hanno esibito la loro appartenenza cristiana (Usyk con una croce d’argento di notevoli dimensioni, con la maglietta più volte indossata con scritto «ortodossia o morte» e con i ripetuti segni di croce ad ogni round, Fury con i versi del Vangelo sulla sua veste e i molteplici richiami a Gesù nelle varie interviste), ma, a fine match, hanno ringraziato ambedue esplicitamente il Signore e Redentore Gesù Cristo, compiendo una testimonianza non riduttiva della loro fede.

Evidentemente essere palcoscenico internazionale porta degli sviluppi positivi per Riad, la cui censura, non è stato fatto notare, si è però indirizzata alle ring girls, completamente assenti.

Questo significa che la maggiore criticità con l’Occidente, il famoso scontro di civiltà evocato nel decennio scorso con la cultura musulmana, non è tanto sui simboli e sulle radici cristiane, ma sull’ideologia interna all’occidente che li vorrebbe tutti azzerati, insieme ai valori di cui sono portatori, e che rischia di diventare un nuovo fondamentalismo.

Il luogo di questo evento storico, poi, ospiterà anche la probabile rivincita (forse a ottobre), per cui la platea, anche se composta per lo più di personalità, si abituerà ad una fede cristiana esibita e non nascosta o, peggio, rinnegata — ed è un paradosso —, come in Occidente.

Il match di Riad può forse segnalare un passaggio di testimone che nello sport può avvertirsi in anticipo rispetto alla geopolitica.

Armando Mantuano

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