SCURATI, PANSA, TAU

Un ventotto ottobre
in libreria

 

Nelle mie periodiche visite in libreria a caccia di novità, mi devo purtroppo imbattere in continue pubblicazioni del filone editoriale incentrato sulle vere o presunte «malefatte» dei vinti del Secondo conflitto mondiale. Sono trascorsi ormai 73 anni dal 1945 ma sembra non ci sia ancora quella distanza storica per analizzare con obiettività le ragioni delle nazioni in conflitto, le motivazioni e i comportamenti dei belligeranti, né gli esiti finali per il Vecchio continente di quell’enorme tragedia che è stata propriamente definita «Seconda guerra civile europea».

E così si va da «Quando Hitler rubò il coniglio rosa», un vecchio titolo che mi è rimasto in mente, giù per decine e decine di pubblicazioni, fino al recente «La ragazza cancellata».

Non ho idea di quante copie vendano questi libri. Penso che gli interessati ad un genere scritto e riscritto in mille varianti del medesimo copione, siano sempre meno.

Nelle prime settimane di ottobre sono uscito dalla libreria con in mano tre «eccezioni» che, oltre ad essere pregevoli, stanno scalando le classifiche dei libri più venduti. Si tratta dei romanzi storici di Antonio Scurati «M. il figlio del secolo» (Bompiani, pp.840) e di Giampaolo Pansa «La repubblichina, memorie di una ragazza fascista» (Rizzoli, pp.240), e delle testimonianze corali di aderenti alla Repubblica di Salò raccolte da Sergio Tau ne «La repubblica dei vinti» (Marsilio, pp.351).

La repubblica dei vinti è un racconto a più voci degli italiani a Salò, raccolte dalla viva voce dei protagonisti dall’autore, il regista teatrale Sergio Tau. Lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, nell’ampia prefazione, parla di «racconto di dolore, ferocia, accanimento e vendetta… racconto di un cambio si sorte: i vincitori si mutano in vinti…racconto delle tante facce dell’animo umano». Il fascismo sta nella storia, ragiona Buttafuoco, e là lo si deve e lo si può interrogare. Ciò che sopravvive nella cronaca è commedia e parodia, è un «babau polemico» ad arte tenuto in vita dagli antifascisti.

Nel libro di Sergio Tau parlano voci di onore e di tragedia, echi di ribellione, parole di rettifica del fango gettato sui vinti per decenni. Vinti che nel frattempo sono morti, e che hanno fatto in tempo a raccontare all’autore gli ideali che li hanno sorretti quando sono diventati sopravvissuti, reduci di una disfatta epocale.

Sono «i vinti oggi diventati fantasmi», usciti dalla guerra con la consapevolezza di non poter tornare alla vita normale, convinti in ogni caso di avere agito per amor di patria. L’Italia che, come scrive Buttafuoco, ancora si nega alla pacificazione. L’Italia che li vuole «comunque espunti da ogni edificante narrazione» nonostante le loro storie siano storie di italiani. Disobbedienti e pazzi, ma italiani.

La repubblichina, memorie di una ragazza fascista, è il nuovo libro di Giampaolo Pansa che rievoca, attraverso la vicenda di Teresa Bianchi, 21 anni, le angherie e le violenze subìte dalle ausiliarie della Rsi dopo il 25 aprile. Violenze e torture psicologiche che non colpirono solo le ausiliarie, poiché non furono risparmiate anche ad altre donne che furono additate come «complici» del regime mussoliniano.

Quello di Teresa Bianchi è un personaggio inventato, ma la sua storia replica vicende realmente accadute nel Monferrato e che Giampaolo Pansa ha avuto modo di conoscere e di divulgare attraverso il suo famoso libro inchiesta, Il sangue dei vinti, che quando uscì nel 2003 rappresentò uno shock culturale. Perché per la prima volta la storia e le piaghe degli sconfitti valicavano i confini delle memorie catacombali per essere scoperchiate dinanzi agli occhi di tutti.

Pansa oggi si inserisce col suo nuovo lavoro in un filone ormai ricco di titoli e di riflessioni, un filone di cui è lui stesso illustre portavoce e protagonista. Un filone che resta urticante per una parte della sinistra che bolla ogni ricerca storica che non sia apologetica della Resistenza come «revisionismo». Un filone che i nuovi adepti dell’Anpi reputano pericoloso, imbevuti come sono delle parole d’ordine di un antifascismo incolto e superficiale (lo stesso che vigila sui funerali, sulle tombe dei morti, in una macabra propensione alla spionaggio funebre).

M il figlio del secolo è forse quello che i nostalgici della guerra civile giudicheranno più pericoloso. È balzato in testa alle classifiche di vendita, e sembra diventato anche una lettura imprescindibile fra le penne più brillanti e autorevoli del giornalismo italiano.

Antonio Scurati si propone di raccontare le vicende del fascismo attraverso gli stessi protagonisti e in particolare del suo Duce Benito Mussolini. Un progetto ambizioso ed impegnativo. L’autore ha in mente una trilogia e infatti le 840 pagine di questa sua prima fatica terminano nel 1924 con il delitto Matteotti.

Scurati spiega che l’idea di un «fascioromanzo» gli è balenato in mente guardando un discorso di Mussolini: «Mi sono detto: ma questo qui non l’ha mai raccontato nessuno. Pensavo naturalmente al punto di vista del romanziere, non dello storico. Per un attimo l’ho fissato con occhi spogli della pregiudiziale antifascista, l’ho osservato come materia narrativa». C’è stato, è vero, il romanzo vincitore del Premio Strega Canale Mussolini, di Antonio Pennacchi, ma quello raccontava l’epopea della «redenzione» delle paludi pontine, trasfigurando in senso epico il lavoro titanico dell’uomo che riesce a dominare il caos delle acque. Ma sicuramente Pennacchi ha aperto una strada, un filone lungo il quale non è poi così semplice avventurarsi.

All’autore «interessa, rimanendo antifascista, raccontare il fascismo attraverso i fascisti, il che non significa aderire alla loro ideologia».

Il «tasso di romanzesco» presente nel fascismo ha strabiliato Scurati che è rimasto poi soggiogato da alcuni personaggi, come Nicola Bombacci, «il Cristo degli operai, il Lenin di Romagna…» e come Aldo Finzi, fascista ebreo che finirà fucilato alle Fosse Ardeatine. L’ideologia, a suo avviso, toglie umanità ai fascisti. Il romanzo gliela restituisce. E che alla fine il soggetto scelto eserciti sull’autore una irresistibile fascinazione è appena il caso di sottolinearlo.

Vincenzo Fratta

 

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