AL CINEMA: THOR RAGNAROK

Quando un dio si perde
nello spazio

 

Tra tutti gli stand-alone di casa Marvel, film dedicati esclusivamente a un personaggio, quelli con Thor protagonista si contraddistinguono per essere i meno riusciti e i più facilmente dimenticabili. Una delle cause è sicuramente la singolarità del divino membro degli Avengers, in cui si uniscono background mitologico e componente supereroistica. Finora infatti Thor e le sue dinamiche sono state più interessanti nel contesto degli Avengers, in cui hanno avuto anche molto spazio.

Dopo qualche anno passato dal precedente Thor: The Dark World, insieme alla mancata presenza nelle ultime produzioni dei Marvel Studios, viene ripresentato in questo Thor: Ragnarok con un taglio molto differente. Dopo aver riportato la pace nei mondi sotto il dominio della sua famiglia, Thor si troverà a confrontarsi con la scomparsa di suo padre Odino, re di Asgard. Insieme al suo fratellastro Loki, sempre in bilico tra essere un nemico o un alleato, dovrà affrontare inoltre la minaccia di Hela, dea della morte, e il possibile Ragnarok, la fine del regno asgardiano.

Il primo pensiero dopo la visione di questo nuovo Thor, sin dai trailer, rimanda a James Gunn. Il regista dei due Guardiani della Galassia è riuscito a dare nuova linfa a questo filone cinematografico, partendo dall’aspetto cosmico dell’universo Marvel, fuori da New York e dagli Avengers, fino a quel momento quasi sconosciuto al grande pubblico. Il grande successo riscontrato ha stravolto le linee guida dei Marvel Studios e Thor: Ragnarok ne subisce le conseguenze. Il film di Taika Waititi si impegna a inserire il dio del tuono nello scenario dei Guardiani, abbandonando definitivamente la cornice mitologica, scelta legata probabilmente alla scarsa considerazione dei precedenti lavori sul personaggio. Gran parte della storia si svolge appunto sul pianeta Sakaar, in cui Thor viene esiliato insieme al fratellastro, dove sarà costretto a lottare come gladiatore, incontrando l’ex compagno Hulk, anche lui assente da un po’ dal Marvel Cinematic Universe.

L’ispirazione nei confronti dei Guardiani della Galassia non riguarda solamente l’ambientazione, ma in particolare il tono fortemente improntato all’umorismo. Questa caratteristica è sempre stata presente nei cinecomic Marvel, ma nel secondo film di Gunn diventa predominante e lo trasforma in una commedia, passo già compiuto inoltre con il Deadpool nella saga degli X-Men. In questi però il registro comico è raffinato, visionario e soprattutto adulto, mentre l’ironia di Thor: Ragnarok risulta molto infantile. Di conseguenza ciò che riguarda Asgard, insieme alla prima metà, diventa tanto ridicolo da sfiorare il limite del trash, mentre il quadro generale migliora solo leggermente.

Questa irritante impronta colpisce poi anche i personaggi. Il protagonista, nuovamente interpretato da Chris Hemsworth, viene totalmente snaturato rispetto al passato, dissonanza che stona particolarmente, considerata la natura fortemente seriale del franchise Marvel. Loki è ridotto a una macchietta, rendendo il villain più riuscito e iconico di questo universo cinematografico, grazie anche alla bravura dell’interprete Tom Hiddleston, praticamente una parodia di se stesso, come d’altronde Hulk. L’unica a salvarsi è la Hela di Cate Blanchett, nonostante la caratterizzazione sia piatta come per il resto dei protagonisti.

L’eredità dei Guardiani della Galassia si riscontra inoltre nella colonna sonora. L’uso di «Immigrant Song» dei Led Zeppelin, nel contesto della pellicola totalmente fuori luogo, strizza l’occhio alla colonna sonora dei film di Gunn, composta da canzoni anni ’70-’80. A tutto ciò fa da cornice una computer grafica orribile, dando ancora di più la sensazione che Thor: Ragnarok sia stato fatto perché ormai obbligati, con la voglia di levarsi al più presto il mondo del personaggio. Il regista neozelandese Taika Waititi, già autore di commedie di genere, tenta di mascherare il tutto cercando di imitare il lavoro di Gunn, presumibilmente su richiesta dei Marvel Studios, decostruendo il genere e ottenendo praticamente una parodia, con una riuscita però molto diversa. Il nuovo Thor è quindi un film pessimo e fastidioso, a dimostrazione di come l’uso approssimativo di questo stile, a cui il Marvel Cinematic Universe sembra proteso, sia aperto a risultati disastrosi.

Francesco Fratta

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