LA MORTE DELLA TERRA

L’Olocausto
del popolo ucraino

Ucraina. Il Museo Nazionale Ucraino del Genocidio a Kiev con sullo sfondo il Pecherska Lavra

La stampa e le reti televisive italiane stanno documentando egregiamente l’andamento della guerra in Ucraina. Ma la «sorpresa» generalizzata per la capacità e volontà di resistenza dimostrata d Kiev di fronte all’invasore russo tradisce la scarsa conoscenza che si ha delle sofferenze inflitte da Mosca al popolo ucraino, il cui apice è stato l’Holodomor, lo sterminio per fame ordinato da Stalin nel 1932.

Una delle rare immagini dell'Holodomor (fonte: Istituto Ucraino della Memoria Nazionale)In Italia una prima consapevolezza della dimensione della tragedia che colpì l’Ucraina − uno dei drammi della storia del Novecento di cui, come vedremo, si sa poco ancora oggi − si ebbe a livello accademico grazie al convegno internazionale «La grande carestia, la fame e la morte della terra» che si tenne dal 16 al 18 ottobre 2003 a Vicenza sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica.

La lettura degli atti del Convegno, curati da Gabriele De Rosa e Francesca Lomastro e pubblicati dalla casa editrice Viella con il titolo La morte della terra, aiuta a comprendere le radici storiche della indisponibilità dell’Ucraina a tornare ad essere una colonia russa.

Ne La morte della terra troviamo tra gli altri i contributi degli studiosi italiani Andrea Graziosi, Ettore Cinella, Francesco Guida, Giorgio Petracchi e Francesca Lomastro. E tra gli stranieri quelli di Oxana Pachlovska, Gerhard Simon e James E. Mace.

I ventitrè saggi contenuti nel volume affrontano un po’ tutti gli aspetti della tragedia che si abbatté sull’Ucraina: la volontarietà e le dimensioni dell’Holodomor, l’occultamento dello sterminio per fame da parte dei sovietici e le complicità godute all’estero, il ruolo di Stalin e dell’«esecutore» Kaganovič, la liquidazione dell’intellettualità ucraina, l’importanza del tema della carestia nella vita sociale e politica dell’Ucraina finalmente indipendente.

Holodomor in Ucraina 1932-33

Una delle rare immagini dell'Holodomor (fonte: Istituto Ucraino della Memoria Nazionale)Tra l’autunno 1932 e l’estate del 1933 l’Ucraina e il resto dei territori finiti sotto il giogo bolscevico subirono l’Holodomor, lo sterminio per fame perpetrato dai bolscevichi per ordine di Stalin.

Holodomor è una parola composta che deriva dalla espressione moryty holodom, letteralmente «infliggere la morte mediante la fame». La lingua ucraina ha combinato quindi le parole holod (fame, carestia) e moryty (uccidere, esaurire, condannare a morte) per coniare un termine che vuole mettere in rilievo l’intenzionalità di procurare la morte attraverso la mancanza di cibo.

Per fiaccare la resistenza dei contadini alla collettivizzazione dei terreni introdotta nel 1928, che ordinava il conferimento dei loro piccoli apprezzamenti di terra nelle aziende agricole collettive (kolchoz), Stalin decise nel 1932 di procedere alla confisca di tutte le scorte di grano, dei generi alimentari, degli animali da lavoro e da cortile, utensili da lavoro e macchinari.

La decisione riguardava tutte le regioni cadute sotto il dominio sovietico ma in Ucraina fu applicata con particolare rigore e zelo, in quanto oltre a cancelare definitivamente il ceto contadino si voleva distruggere la mai sospita aspirazione del popolo ucraino all’indipendenza.

Di fronte alla carestia, migliaia di persone tentarono di lasciare le campagne ed entrare nelle città alla ricerca di cibo, ma furono rimandate indietro dall’esercito, per morire a piedi sulla via del ritorno o nei vagoni dei treni dove venivano ammucchiati.

Quelli che restarono o riuscirono a tornare nei loro villaggi, morirono giorno dopo giorno. Prima i più deboli, anziani e bambini, e poi tutti gli altri.

Sette milioni di morti

Secondo le stime più prudenti, le morti determinate dall’Holodomor furono circa 7 milioni, dei quali 4,5 milioni in Ucraina e 1,5mln negli altri territori. Diverse stime considerano tale cifra adeguata alla sola Ucraina.

Altri territori particolarmente colpiti furono il Basso Volga, il Kuban e soprattutto il Kazakhistan, in quanto la maggioranza della popolazione era costituita da pastori nomadi, fortemente ostili alla collettivizzazione imposta dai sovietici.

L’Holodomor è stato definito un «Olocausto dimenticato» perché la comunità internazionale dell’epoca non si rese conto o non volle rendersi conto della tragedia che stava avvenendo in Russia. Inseguito i sovietici divennero alleati delle democrazie occidentali nella Seconda guerra mondale e poi una delle due superpotenze che si erano spartite il dominio sul mondo.

Così soltanto a partire dal 1991 con la dissoluzione dell’impero sovietico e la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina che si è potuto cominciare a parlare della tragedia dell’Holodomor.

Gli storici hanno avuto finalmente accesso almeno a parte degli archivi dell’ex Urss, sono stati scritti libri e sono stati girati anche alcuni film. Ma la percezione del genocidio degli ucraini, a differenza dell’Olocausto degli ebrei, non è ancora entrata nella memoria comune dell’Europa.

I due Olocausti

Eppure i due Olocausti, quello degli ebrei e quello dei contadini che lo precedette di dieci anni, presentano nel loro orrore una terribile analogia che va oltre il numero almeno equivalente di vittime.

Nel caso degli ebrei ci troviamo di fronte allo sterminio di una razza in quanto tale, nel caso dei contadini allo sterminio di un ceto economico in quanto tale. Un popolo viene rinchiuso fino a morire nei campi di concentramento, un altro vede il suo villaggio trasformarsi in un campo di sterminio a cielo aperto.

In un passo del capitolo dedicato all’Holodomor nel volume «Tutto scorre» − vero e proprio atto d’accusa della natura criminale del comunismo sovietico −, lo scrittore russo Vasilij Grossman descrive mirabilmente la dimensione della tragedia attraverso le parole di una ragazza della gioventù comunista predisposta alla sorveglianza del cibo sequestrato ai contadini: «Cominciò nel villaggio una moria generale. Prima i bambini, poi i vecchi, poi quelli dell’età mediana.

Dapprincipio li sotterravano, poi smisero. Sicché i morti stavano buttati per le strade, nei cortili, e gli ultimi sono rimasti stesi dentro le isbe. Sopravvenne un gran silenzio. Tutto il villaggio era morto. Non so chi morì per ultimo. Noi, che lavoravamo alla direzione del kolchoz, ci riportarono in città».

Vincenzo Fratta

 

 

A cura di G.De Rosa e F.Lomastro
La morte della terra
Viella Editrice, pp.510

 

 

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