CALCIO. LA LAZIO SENZA PIÙ SARRI

Cronaca di una (ennesima)
rivoluzione mancata

Maurizio Sarri, il tecnico toscano ha lasciato la Lazio

 

di Adriano Minardi Ruspi

Maurizio Sarri alla Lazio, una rivoluzione incompiuta o mai davvero iniziata? Partiamo dal momento dell’addio del tecnico toscano dalla società sportiva Lazio.

Nessun addio poteva essere compiuto in una modalità più rispettosa della propria dignità professionale di allenatore e di uomo rispetto a quello compiuto da Maurizio Sarri.

Sono state altre le occasioni in cui abbiamo assistito a sceneggiate pietose, giaculatorie e pianti in caso di licenziamenti in tronco, ma mai però preceduti da dimissioni volontarie o rescissioni di contratto. In tanti altri casi la possibilità di difendere la propria dignità non ha aveva comportato una rinuncia economica.

La decisione di lasciare

Stavolta non è andata così. Di fronte alla constatazione che il gruppo di lavoro non rispondeva più alle sue osservazioni e ai suoi input il tecnico si è delicatamente fatto da parte mettendo tutti di fronte alle loro responsabilità.

Non è essenziale da questo punto di vista quantificare la rinuncia economica legata all’anno di contratto ancora da rispettare, comunque attestata su cifre importanti (si parla di circa 8 milioni lordi). Va semplicemente rimarcata la modalità seria e da uomo vero, da «hombre vertical» come dicono altrove, di Maurizio Sarri al momento dell’addio. Tuttavia, alcune osservazioni possono porsi all’attenzione di tutti.

L’accoglienza come liberatore

La rivoluzione sarriana è stata annunciata come un cambio epocale nella storia degli ultimi vent’anni della società sportiva Lazio legati alla presidenza di Claudio Lotito, un vero e proprio cambio di marcia rispetto alla stagione, seppure di successo, di Simone Inzaghi alla guida tecnica della squadra.

Ma questa rivoluzione si è davvero realizzata, magari anche solo parzialmente, è venuta meno nel suo divenire oppure in realtà non è stata mai davvero voluta fino in fondo?

Maurizio Sarri è stato accolto come un vero e proprio liberatore da gran parte della piazza laziale, perché per la prima volta era realmente possibile ipotizzare un cambio di marcia gestionale da parte della Presidenza, in quanto veniva messo sotto contratto un allenatore che aveva conseguito successi o comunque lavorato in piazze più importanti.

Per la prima volta si legava un nome alla nascita di un progetto che avrebbe dovuto portare stabilmente la squadra tra le prime in Italia e soprattutto aumentare il ranking europeo, fino ad allora e tuttora estremamente scarso.

La speranza di un cambio di passo

Per la prima volta in vent’anni la logica gestionale della presidenza Lotito, sempre troppo e solo «cauta» e ragionieristica, sembrava quasi piegarsi alla voglia di grandezza di una piazza che negli ultimi anni aveva vissuto momenti spesso buoni ma fondamentalmente sempre rientranti in un’aura di gioiosa stabilità, appena appena sopra la mediocrità in termini di risultati.

Per la prima volta tutto l’ambiente laziale, all’arrivo del «Comandante» Sarri oppure più semplicemente di «Mau» come veniva affettuosamente chiamato da stampa e tifosi, si consegnava con estrema fiducia ad un Salvatore, con la devozione riposta nei confronti di un vero e proprio liberatore.

Aldilà delle motivazioni che hanno condotto all’ingaggio del tecnico toscano, tuttavia, non siamo convinti che questo sia stato l’atteggiamento della Presidenza durante i due anni e mezzo di gestione sarriana.

Non fanno testo le dichiarazioni di facciata in difesa dell’allenatore e le singole prese di posizione apparentemente in suo favore (si ricordi ad esempio il dissidio dell’anno scorso il direttore sportivo Tare che ha portato al mancato rinnovo contrattuale di quest’ultimo ed al suo conseguente allontanamento).

L’appoggio solo formale di Lotito

Il presidente della Lazio Claudio LotitoAldilà di questo appoggio formale davanti a stampa e tifosi, a questo sostanziale «lasciar fare» del Presidente per tutto quello che riguardava l’aspetto tecnico, siamo davvero sicuri che la società abbia lavorato fino in fondo per consentire all’allenatore di svolgere il proprio lavoro?

Non ci sembra sia andata così. Ho in mente una una data di inizio ben precisa, risalente alle settimane successive all’incontro tra la Lazio e la Cremonese del maggio 2023 (meglio conosciuto come il giorno del decennale della Coppa Italia 2013), in cui veniva sancito il ritorno della Lazio nella Champions League con annesso secondo posto nella classifica nazionale.

Un risultato indubbiamente favorito da elementi esterni alle prestazioni della squadra ma fondamentalmente dovuto al rendimento offerto dai giocatori sotto la cura, per il secondo anno consecutivo, del maestro Sarri.

L’entusiasmo dei tifosi

Dal fortissimo entusiasmo che si è generato nell’ambiente è ripreso il riavvicinamento forte dei tifosi che ha portato quest’anno al primo vero record della gestione Lotito nella campagna abbonamenti, con la tessera sottoscritta da circa 30mila tifosi, dato poi parzialmente confermato con l’attivazione di ulteriori 20mila abbonamenti per la fase a gironi della Champions League.

Pieni di ottimismo, i tifosi si aspettavano un salto di qualità dal punto di vista del mercato, rese possibili anche dal forte incremento delle entrate conseguenti all’accesso alla Champions League (si è parlato di quasi 100 milioni potenzialmente in entrata nelle casse della società capitolina).

Una smentita delle precedenti gestioni di Lotito, caratterizzate sempre da scarsa attenzione alla campagna acquisti, mai davvero di grande qualità e mai davvero finalizzata, tranne rarissime eccezioni, a favorire un salto di qualità definitivo della squadra stessa.

Era comunque prevalente l’idea che aver sposato il progetto Sarri fino in fondo, aver legato il destino della squadra alla presenza di un allenatore di grande peso e di grande carisma avrebbe consentito alla società sportiva un ulteriore cambio di passo.

Un mercato non richiesto dal tecnico

Così non è stato. La squadra ha svolto il suo ritiro nella sede storica di Auronzo di Cadore addirittura senza la presenza di nessun dirigente quantomeno autorevole, facendo venir meno il contatto quotidiano tra società e squadra necessario per il positivo avvio della stagione ma soprattutto è venuto meno il rinforzo tecnico a cui l’allenatore aveva legato le possibilità di un miglioramento del ranking tecnico della squadra.

Sarri ha chiesto poco nel numero ma ha chiesto giocatori, magari anche costosi e di peso, sicuramente però funzionali all’incremento dello spessore tecnico della squadra ed a tutte queste richieste la società ha risposto quasi isolando sostanzialmente il tecnico nella fase del ritiro e poi provvedendo a compiere i suoi primi passi sul mercato addirittura a ridosso della fase di chiusura del mercato stesso, con l’arrivo dei primi giocatori nel periodo immediatamente precedente a Ferragosto, a ritiro sostanzialmente finito e ad una settimana dall’inizio del campionato.

Giocatori, intendiamoci, anche di un buon livello tecnico ma mai richiesti dal tecnico (e forse neanche addirittura validati da quest’ultimo). Con queste premesse la stagione non poteva che prendere una piega particolare sin dall’inizio, non tenendo neanche conto che un allenatore di campo come Sarri non poteva certo garantire il rendimento di giocatori allenati da pochissimo tempo.

La brutta partenza in Campionato

Così la squadra si è dimostrata scollata fin dalle prime giornate, che ha mal digerito gli insegnamenti del tecnico e soprattutto con un rendimento da parte dei veterani e di parte del gruppo storico completamente diverso rispetto a quello della stagione precedente, anche soprattutto perché drogato e viziato da questioni di rinnovo contrattuale con promesse (sembrerebbe) non mantenute dalla Presidenza circa aumenti o rinnovi stessi.

Questa miscela esplosiva ha portato a un rendimento estremamente diverso della squadra rispetto all’anno precedente con la sola eccezione della partecipazione alla fase a gironi della Champions League che ha visto prestazioni quasi sempre di ottimo livello.

Anche perché, aldilà dell’aspetto strettamente tecnico, il palcoscenico europeo era probabilmente preferito dai giocatori rispetto al torneo nazionale.

Un vero e proprio cortocircuito che si è poi manifestato anche dal punto di vista mediatico con la progressiva perdita di fiducia di parte dell’ambiente giornalistico e della comunicazione nei confronti del lavoro di Sarri.

La crescita dei malumori

I malumori all’interno dei giocatori, scaturiti all’inizio soprattutto su questioni di carattere economico, si sono progressivamente trasferiti sulle questioni tecniche, come il mancato utilizzo di alcuni giocatori con l’inevitabile corollario di musi lunghi e scarso rendimento.

Inoltre, ancora oggi si vocifera di pressioni da parte di ambienti esterni alla squadra, rappresentati da vecchi volponi del calcio, che avrebbero interferito sulla gestione interna della società, magari proprio interessati all’allontanamento di un personaggio indubbiamente scomodo come Sarri.

Tale miscela esplosiva ha prodotto un crollo in verticale delle prestazioni nell’ultimo mese della squadra, stranamente successive alla splendida vittoria contro il Bayern di Monaco. Si è trattato di un vero e proprio canto del cigno della guida tecnica di Sarri, che faceva seguito peraltro all’ennesima eliminazione della Roma del vate Mourinho dalla Coppa Italia nel derby infuocato di gennaio 2024.

Un futuro incerto

Ora la società sportiva Lazio volta pagina. E non si può non vedere nel cambio del tecnico un downgrade pauroso rispetto al periodo sarriano che rischia davvero di essere ricordato come l’ultimo (e probabilmente unico) tentativo della Lazio di uscire dal cono d’ombra della mediocrità e di dare ai tifosi la possibilità di sognare un destino diverso.

Sarà il futuro chiaramente a decidere se questa strada, intrapresa nella sostanziale inerzia da parte della società e con responsabilità che esulano da quelle strettamente tecniche dell’uomo e del tecnico Maurizio Sarri, sia stata la più giusta nel senso di garantire la crescita della squadra.

Resta l’amarezza per un’ennesima rivoluzione incompiuta, un velo di malinconia per l’uscita di un uomo vero, forte e capace di difendere le sue idee con passione. Per la società sportiva Lazio l’ennesima occasione perduta, che per prima ne pagherà le conseguenze, e più in generale il calcio italiano che rischia di perdere un uomo di valore e soprattutto un uomo libero e sincero.

Adriano Minardi Ruspi

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