RILETTURE

L’Asia vista con gli occhi
di Mario Appelius

 

Torna nelle librerie Mario Appelius, giornalista e conduttore radiofonico molto noto in Italia negli anni Trenta e Quaranta e caduto poi nell’obblio nel dopoguerra per la sua convinta adesione al Fascismo.

La casa editrice Oaks ha appena pubblicato Al di là della Grande Muraglia (pp.294, euro 20), contenenti i reportage dei viaggi di Appelius in Mongolia, Manciuria, Siberia e Corea, riuniti in volume nel 1941 e ha in catalogo anche la sua autobiografia «Da mozzo a scrittore» (pp.317, euro 24) scritta nel 1932.

Sempre del 1941 è Cannoni e ciliegi in fiore. Il Giappone moderno, riproposto ora da Idrovolante Edizioni (pp.370, euro 22), un libro concepito per far conoscere agli italiani il paese del Sol Levante, del quale Appelius racconta da par suo i vari aspetti della vita sociale e religiosa. «Volete fare del Giappone un quadro grottesco? La vita giapponese – chiarisce Appelius – vi offre cento spunti per far ridere il mondo occidentale sul Giappone. Volete farne invece un paese sublime? Il Giappone v’offre innumerevoli elementi e soggetti di sublimità. Il Giappone può essere visto tragicamente, liricamente, filosoficamente, buffonescamente restando sempre nel vero».

Nato ad Arezzo il 29 luglio 1892 Mario Appelius manifestò fin da bambino un vivo interesse per i viaggi e l’avventura tanto che, dopo l’ennesima fuga di casa, per punizione fu costretto dal padre a imbarcarsi come mozzo su una nave italiana. Disertò anche il modesto lavoro nella marina mercantile per vagabondare fra Egitto, India, Indocina, Filippine e Cina impegnandosi in varie attività, affari, situazioni che ne favorirono la maturazione imprenditoriale, artistica e personale.

Nel 1922 cominciò a collaborare con il «Popolo d’Italia» diretto da Arnaldo Mussolini, con le prime corrispondenze inviate dall’Africa, e divenne presto uno scrittore di successo, grazie alla vena artistica che lo contraddistingueva per le sue fantasiose e forbite descrizioni delle città, dei popoli e degli stati che andava visitando nei cinque continenti. Nel 1930 fondò il «Mattino d’Italia» di Buenos Aires che diresse fino al 1933. In seguito fu corrispondente di guerra de «Il Popolo d’Italia» in Etiopia e Spagna. Durante il Secondo conflitto mondiale fu radiocommentatore e dagli studi dell’Eiar fu lui a lanciare il motto «Dio stramaledica gli Inglesi!». Dopo la fine della guerra venne processato per «apologia del Fascismo» e condannato, ma grazie all’amnistia Togliatti evitò la carcerazione. Morì pochi mesi dopo a Roma, il 27 dicembre 1946.

Nel suo raccontare, scrive Paolo Mathlouti nella prefazione ad «Al di là della Grande Muraglia», l’autore «s’inebria della raffinata complessità di riti e cerimonie fuori dal tempo, immerge se stesso nell’essenza profonda di un universo a stento lambito dalla Modernità senza mai cedere, tuttavia, alle facili immedesimazioni tanto care a certa letteratura ‘terzomondista’. Non vi è traccia alcuna, nelle pagine dello scrittore aretino, di quell’estatico rapimento che troviamo, ad esempio in Tiziano Terzani. (…) Al contrario, da maledetto toscano qual è, (…) mantiene rispetto alle realtà che attraversa e sperimenta, un atteggiamento smagato, di distacco, che conferisce alla sua prosa un taglio pungente, sagace, non estraneo a risvolti anche comici, assai vicino alle atmosfere evocate dal miglior Giorgio Manganelli. Dalla sua penna fluisce un ‘realismo magico’ che lo accomuna (…) ad altri grandi spiriti inquieti della sua generazione (…). Motivo sufficiente, crediamo per decidersi a riscoprirlo».

Vincenzo Fratta

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