LAMB DI VALDIMAR JÓHANNSSON

Il confine dissolto tra uomo e animale

«Lamb» film di esordio del regista Valdimar Jóhannsson

 

Il film Lamb è l’esordio alla regia di Valdimar Jóhannsson con Noomi Rapace e Hilmir Snær Guðnason. È stato presentato alla 74a edizione del Festival di Cannes, dove ha ricevuto il Premio per l’Originalità, ed alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città. Divenuto un cult negli Stati Uniti è arrivato finalmente, il 31 marzo, anche nelle sale cinematografiche italiane.

«Lamb» film di esordio del regista Valdimar Jóhannsson«Da bambino passavo molto tempo nell’allevamento di pecore dei miei nonni. Pertanto − ha spiegato il regista − agnelli, pecore e montoni sono animali che conosco molto bene. Ho sempre voluto raccontare una storia basata sui racconti popolari, una storia che riflettesse la natura nelle persone e le persone nella natura».

Lamb è un’immersione in una natura primitiva, arcaica, in cui le immagini dei paesaggi e degli animali raccontano molto più delle parole degli uomini che la abitano.

La pellicola procede infatti quasi in silenzio, con dialoghi scarni che non aggiungono né tolgono nulla a quelli, fatti di suoni, della natura.

Una natura scandita dal soffio del vento e dai versi di un mondo animale che sembra poter essere turbato solo da una presenza inquietante e quasi divina.

È come se Jóhannsson cercasse di rendere il linguaggio del cinema un linguaggio universale, attraverso il linguaggio di Madre Natura.

«Lamb» film di esordio del regista Valdimar Jóhannsson

Una presenza misteriosa

Girato nel freddo paesaggio nordico dell’Islanda, durante la stagione delle nascite degli agnelli, il film presenta un’ampia varietà di specie animali: pecore, cavalli, cani, gatti.

Una presenza invisibile e misteriosa si aggira in questo paesaggio.

Una presenza che percepiamo attraverso questi animali: lo sguardo fisso del gatto, l’imbizzarrirsi dei cavalli, l’abbaiare insistente del cane verso un qualcosa.

Ma chi è questa entità misteriosa e, forse, divina?

È qualcosa o qualcuno che si muove respirando affannosamente nei pressi di una fattoria. È una strana creatura che si aggira per la stalla spaventando i cavalli. È una folata di vento che si insinua con forza di notte nell’ovile.

Poco dopo una pecora dà alla luce una piccola che Maria ed Ingvar, una coppia che gestisce la fattoria, chiamano «un dono» e che prenderà il posto di Ada, la figlia nata morta.

Ada è un essere in cui l’animalità diventa parte dell’essere umano, e viceversa.

Una strana quanto inquietante fusione corporea in cui il labile confine tra animale e umano si dissolve.

Il regista, attraverso questo essere ibrido guarda sia alla dimensione personale dell’uomo e della donna, che cercano di elaborare il loro trauma, sia ad una dimensione universale che coinvolge tutti esseri viventi che abitano la terra, uomini ed animali, insieme.

In Lamb la relazione tra uomini e bestie si concretizza nel peso delle espressioni di dolore che gli animali acquistano in primi piani intensi.

Relazione in cui diventa metaforico il confronto tra la «madre umana», che in un chiaro riferimento religioso porta il nome della madre per eccellenza, la Vergine Maria, e la «madre animale», quella vera, la pecora, che non si rassegna a perdere la sua creatura.

È nella risoluzione di questo confronto che si rivela in modo evidente la natura sopraffattrice dell’animo umano che si scontra con l’innocenza della bestia: la pecora verrà abbattuta con un colpo di fucile.

«Lamb» film di esordio del regista Valdimar Jóhannsson

Dramma naturale e dramma familiare

In fondo l’agnello per la religione cristiana e ancor prima per quella ebraica, è sempre stato il simbolo di sacrificio per eccellenza.

Ma in questo film, l’ibrido di agnello, metà uomo metà animale, cambierà le carte in tavola. E da simbolo di sacrificio diventerà simbolo di rivalsa per tutti gli animali su un’umanità che tende sempre di più a prendere dalla natura senza preoccuparsi delle conseguenze.

Gli animali non sono i soli nel film a contrapporsi agli esseri umani perché, oltre ai due protagonisti, un vero e proprio personaggio che domina la scena è la Natura.

Una natura aspra, fredda, ostile, inospitale che sovrasta gli esseri umani.

Una natura che sembra voler espellere da sé quegli esseri che cercano superbamente di dominarla andando contro, appunto, l’ordine «naturale» delle cose.

Una natura in cui tutto è fermo, tutto è stabile, in una inerzia che soltanto l’attesa di quello che prima o poi accadrà può scuotere.

Come nella grande tradizione del cinema horror, a spaventarci maggiormente è sempre la suspense di quello che sta per accadere.

Ed è ciò che accade fuori dalla scena − questa presenza che percepiamo ma non vediamo per tutto il film ma che esploderà in tutta la sua violenza nel finale − a mantenerci sempre sulla soglia dell’inaspettato/aspettato.

L’allegoria finale forse può sembrare un po’ forzata ma rappresenta comunque una fine adeguata dello scontro tra Uomo e Animale/Natura.

Attraverso questa «presenza» che incombe dall’esterno dell’inquadratura, creando una sensazione di pericolo imminente, il regista rievoca a livello inconscio un’angoscia esistenziale, la nostra.

Il dramma familiare, infatti, non è altro che un’allegoria di una dramma globale, quello ambientale.

«Lamb» film di esordio del regista Valdimar Jóhannsson

Le domande di Lamb restano senza risposta

La storia di Maria e Invgar potrebbe appartenere alla vita di ognuno di noi. Il vivere tutto al presente, il perseguire il proprio bene individuale senza preoccuparsi per il futuro del pianeta. Tutto ciò è qualcosa di non molto lontano dall’esperienza quotidiana di tutti noi.

Quante volte ci siamo ritenuti superiori agli animali, i prediletti da Dio, il centro dell’universo?

Quante volte abbiamo dimenticato di essere noi stessi animali e come tali facenti parte di un ecosistema in cui ogni specie è strettamente dipendente una dall’altra?

E soprattutto quante volte abbiamo contribuito sulla base del benessere individuale a sfruttare l’ambiente in cui viviamo fino a renderlo inospitale ed ostile?

Non possiamo continuare ad agire contro natura e far finta di non vedere l’inevitabile fine a cui stiamo andando incontro.

Ecco perché il regista, con maestria, ha lavorato su questa presenza utilizzando lo strumento linguistico del fuoricampo, ciò che esiste ma non è messo in scena davanti all’obiettivo.

Perché quella inevitabile fine è già qui presente fra noi.

Cambiare la nostra relazione con gli animali e verso ciò tutto ciò che ci circonda, questo sarebbe il vero «dono» che ogni uomo e donna può lasciare ai propri figli.

E poco importa se quell’incontro tra uomo e animale sia l’agnello di Dio che toglie i peccati o il figlio del Diavolo che condanna gli uomini per i peccati commessi contro natura.

Perché Lamb è un film che genera molte domande, ma non risposte. E la domanda più importante che adesso tutti noi dobbiamo farci è: «Quando finiremo di considerarci in diritto di sfruttare la natura a nostro piacimento prima dell’inevitabile fine a cui tutti stiamo andando incontro?».

Senza la natura, l’umanità non esiste.

Angela Alizzi

 

 

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