LA SCOMPARSA DI VILLAGGIO

Il ricordo del mega
direttore Paolo Paoloni

 

«Ho sentito un senso di vuoto, mi manca qualche cosa con la morte di Paolo Villaggio. Quando non ci sono più certe persone, si sente». È laconico e riflessivo Paolo Paoloni, in arte il mega direttore galattico della fortunata saga di Fantozzi, scritto e interpretato da uno straordinario ed eclettico Paolo Villaggio. Ora che il cinema italiano si risveglia con la consapevolezza di dover fare a meno di Villaggio, la Tv in primis si accorge di lui e di quanto fosse importante. La notizia ha fatto subito il giro del Paese: «E’ stata una reazione di autentico dispiacere – continua Paoloni – mi ha colpito, come se fosse partita una piccola parte di me. Con Paolo ho interpretato una serie di film, avendo sempre un rapporto molto cordiale sul set, molto amichevole, nulla di più. Del resto io non frequento nessuno al di fuori dei set».

Una ridda di ricordi invade Paoloni quando gli si chiedono episodi singolari del loro rapporto professionale dentro e fuori dal set: «Uno dei momenti più significativi è stato la nascita del personaggio del mega direttore. Il regista Luciano Salce, descrivendomi la figura che dovevo interpretare, mi disse convinto: «Guarda, questo è un cattivo», poi mi avvicinò subito dopo Villaggio che aggiunse: «Questo è un buono». Quindi mi son trovato a interpretare un ruolo particolare, dovendo fare il cattivo ma dando l’impressione di essere gentile e buono, ed è venuto fuori il personaggio che tutti conoscono».

«Un altro episodio che ricordo è una ospitata con Simona Ventura in Tv per il calcio, sia Villaggio che io. Mi vestono tutto di bianco ed appaio all’insaputa di Paolo, mentre faccio il gesto della croce. Lui sorpreso mi guarda e dice: ‘Sei ancora vivo?’ Sono scoppiati tutti a ridere, ovviamente. Poi ci siamo seduti insieme e chiacchierato per tutta la puntata».

«Vorrei poi cancellare un falso mito – aggiunge: i libri su Fantozzi non sono arrivati sulla scorta del successo dei film, come tutti credono. Lui prima ha scritto i libri e poi sono venuti fuori i personaggi. Come il mio, cui ho poi dato corpo e voce, ma devo a lui questa mia strana notorietà».

Quando gli si chiede di descrivere l’uomo Villaggio, fuori dal set, il mega direttore si intenerisce e sprofonda nei ricordi: «C’era sempre un fondo di tristezza nei suoi occhi quando parlava di se’, ma non ho mai voluto approfondire. In fondo c’era un velo di amicizia con lui, almeno spero. Come tutti gli attori comici, che nella vita di solito sono tristi, anche lui non sembrava effettivamente felice, anche se era sempre contornato da molti amici, anche importanti, come Gassman e Fellini. Mi ricordo quando mi chiamava da lontano urlando il mio cognome: Paoloniiiiiii…! Con una voce entusiasta. Però pensandoci bene, si effettivamente non posso dire ci fosse molta affinità tra lui e i suoi personaggi».

«Paolo Villaggio era una persona molto colta, con un senso di visione della vita umana molto particolare, molto suo, direi al di sopra di quello che comunemente viene descritto. Lui aveva una prospettiva dall’alto, giudicava anche se amorevolmente, ma c’era sempre un giudizio non troppo benevolo di noi esseri umani, smitizzava anche certe figure della storia. Io gli avrei dato il premio Nobel per la letteratura, basta leggere i suoi lavori per capire il motivo, aveva un linguaggio davvero particolare, nuovo, tutto suo».

Cosa ha tolto al cinema italiano la morte di Villaggio? «La sua scomparsa cosa ha tolto? Ha tolto Paolo villaggio, tutta la sua visione. Un altro Paolo Villaggio in giro non c’è. Neanche tra i filosofi di oggi. Lui era unico».

Carmine D’Urso

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