LA MOSTRA
Baistrocchi, il generale
nemico di Badoglio

Il 31 maggio 1947, moriva a Roma il generale Federico Baistrocchi, una delle più nobili e capaci figure di soldato, oggi praticamente sconosciuto. Dopo settant’anni l’Esercito italiano ricorderà la sua figura con una mostra presso il Museo dei Granatieri di Sardegna a piazza Santa Croce in Gerusalemme, che aprirà i battenti il 16 giugno. Nella mostra saranno esposti cimeli personali del generale e documenti di eccezionale importanza, come una lettera che il 18 settembre 1936 Baistrocchi indirizzò a Benito Mussolini.

Dopo aver profondamente riflettuto sull’ordine del Duce di recuperare armi e materiali dall’Etiopia, dopo la vittoriosa campagna africana, pur consapevole di rischiare la carriera, Baistrocchi sentì il dovere di rivolgersi direttamente a Mussolini: «Con la mia abituale franchezza, pur sapendo di non farvi, anche questa volta, cosa gradita, vi dirò che tale ritorno in patria sarebbe esiziale per l’esistenza dell’Impero che voi avete voluto e fondato. (…) La guerra che prevedete sarà lunga (…) troverà l’universo diviso in due campi opposti per una lotta senza quartiere e perciò sarà lunghissima e all’ultimo sangue. Trionferà chi avrà saputo meglio prepararsi, resistere, alimentarsi. Il Mediterraneo non è nostro; l’Inghilterra lo domina (…) la Francia e anche l’America (poiché ritengo che anch’essa sarà contro di noi) vorranno farci scontare il nostro grande successo in Africa». A parere del valente generale, le colonie appena conquistate, per essere mantenute in caso di conflitto, dovevano diventare quanto più possibile autonome dalla madrepatria per dotazione di uomini e materiale bellico.

Baistrocchi sentiva di poter parlare apertamente in virtù del suo impeccabile curriculum. Federico era nato a Napoli nel 1871 da antica e nobile famiglia di origini polacche: presto fu inviato al Collegio militare della Nunziatella e poi all’Accademia di Modena. Prese parte alla campagna di Eritrea del 1896, alla campagna di Libia del 1911. Per il suo valore e perizia ottenne varie promozioni per merito di guerra e ben sei medaglie al Valore, ma per lui stesso, la più ambita fu quella d’oro che gli Arditi del 1° battaglione d’assalto gli offrirono per averli accompagnati con il preciso fuoco dei suoi cannoni alla conquista di Quota 800 della Bainsizza.

Durante la Prima Guerra Mondiale, era infatti divenuto il flagello degli austriaci per aver ideato una particolare forma di impiego dell’artiglieria in appoggio alla fanteria che gli era valso presso il nemico l’appellativo di «Diavolo Rosso», e tra i soldati italiani quello di «artigliere del fante».

Al termine della Grande guerra, promosso Generale ed eletto Deputato, tra il 1924 e il 1933 non si occupò di politica ma esclusivamente di questioni, leggi e riforme militari.

«Per questa sua riconosciuta preparazione tecnica ed esperienza sul campo – ha scritto Andrea Cionci in un lungo articolo su La Stampa dedicato a Baistrocchi –, Mussolini, nel 1933 lo chiamò ad assumere l’incarico di Sottosegretario di Stato per la Guerra e, dal 1 ottobre 1934, anche la carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Il temperamento entusiasta ed esuberante di Baistrocchi irruppe nel severo ambiente piemontese di Via XX Settembre portando un vasto piano di riorganizzazione e modernizzazione delle truppe italiane, da attuarsi in due trienni: 1933-36 e 1936-39. Riuscì ad imprimere, da subito, un salutare ‘scossone’ alla sua forza armata: svecchiare, innovare, motorizzare, abbandonando definitivamente i vecchi concetti del primo dopoguerra. Il suo primo impegno fu l’introduzione di criteri più meritocratici per l’avanzamento degli ufficiali.

Si occupò quindi di un piano di riforme che prevedeva l’ammodernamento delle armi in dotazione alla fanteria e all’artiglieria e al loro munizionamento.

Diede il massimo impulso alla meccanizzazione e motorizzazione dell’Esercito con la costituzione organica del Corpo Automobilistico e trasformando e motorizzando reparti di cavalleria, bersaglieri, batterie di artiglieria e creando le prime unità corazzate e autotrasportate.

Si preoccupò di migliorare il trattamento e l’addestramento delle truppe, il suo equipaggiamento e vestiario, con maggiore praticità e comodità rispetto a quanto adottato dai precedenti regolamenti.

Con l’istituzione del nuovo corpo denominato ‘Guardia alla Frontiera’ (Gaf) l’Esercito venne svincolato dal compito di assicurare la copertura dei confini per impegnarsi quindi a garantire la difesa del restante territorio nazionale».

Baistrocchi era quindi riuscito a dotare il Paese di un esercito moderno, e i risultati si videro nella campagna di Etiopia. Rispetto alle quattro divisioni previste egli riuscì a inviarne 20, perfettamente equipaggiate e rifornite. Si mise così in luce per le sue capacità tanto che vi fu un momento in cui Mussolini pensò di sostituirlo al lento ed esasperante Pietro Badoglio.

Fu proprio Baistrocchi, scrive nell’articolo Andrea Cionci «a sottolineare che un simile avvicendamento avrebbe causato dei problemi nella gestione del Corpo di spedizione da Roma che era sotto la sua responsabilità. In quel mentre, infatti, il generale napoletano era tutto impegnato a ‘clonare’ in Patria tutti i reparti che inviava in Africa Orientale per non lasciare sguarnite le difese in Italia. La campagna d’Etiopia fu un pieno successo e venne definita all’estero un ‘capolavoro di logistica, strategia e tattica’ destando non poche invidie. Possiamo dire che i primi concetti di ‘guerra lampo’ furono teorizzati proprio da Baistrocchi». Il generale, tuttavia, era saldamente ancorato alla realtà e riteneva la guerra lampo possibile solo con un rapporto di forze non paritario, cosa che non mancò di far notare a Mussolini».

Anche se Baistrocchi aveva fatto solo il suo dovere di «tecnico» e non aveva alcuna intenzione di «fare le scarpe» al suo superiore, Bagoglio se ne ebbe a male e annuncio al generale Rodolfo Graziani l’intenzione di vendicarsi. La prima occasione fu proprio la franca lettera che Baistrocchi scrisse a Mussolini il 18 settembre 1936. Badoglio convinse il Duce a destituirlo. Il generale napoletano fu nominato Conte e Senatore de Regno per i grandi meriti acquisti, ma, de facto, fu escluso da ogni ruolo di responsabilità. Mussolini gli propose, poi, di comandare le truppe nella guerra di Spagna, ma egli rifiutò.

La vendetta di Badoglio proseguì dopo che questi, approfittando del crollo del Regime, il 25 luglio 1943 fu nominato dal re a capo del Governo. Il settantatreenne Baistrocchi fu arrestato il 18 aprile 1945 su richiesta del Commissariato per le sanzioni contro il Fascismo, e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli come un delinquente comune, dove rimase per 15 mesi in attesa del processo. «Al generale instancabile e intrepido – scrive Andrea Cionci –, il peso della calunnia fu molto gravoso, tanto che dimagrì di 21 chili. Solo gli ultimi due mesi prima del processo li trascorse nel carcere militare di Forte Boccea, trattato con il dovuto rispetto. L’accusa era di avere, come Sottosegretario alla Guerra, compromesso e tradito le sorti del Paese tanto da averlo successivamente condotto alla catastrofe mediante la fascistizzazione dell’Esercito, influenzandone l’ordinamento, la tecnica militare, la regolamentazione e la disciplina».

Il processo presso il tribunale militare di Roma iniziò il 10 settembre 1946 e fu molto seguito. L’abbondante documentazione della sua attività e le testimonianze a suo favore di un alto numero di personalità militari e politiche di tutti i partiti, riabilitarono totalmente la sua figura di soldato, di comandante e di italiano. Baistrocchi respinse energicamente ogni accusa parlando 5 ore di seguito ed elencando esattamente il suo operato e le sue argomentazioni. Il processo durò 12 giorni e si concluse il 22 settembre con la sua assoluzione con formula piena. Uscì dal carcere alle ore 15 del 22 settembre 1946.

Già debilitato dalla vicenda infamante del carcere, pochi mesi dopo, morì per un attacco di cuore, il 31 maggio 1947. Riposa alla Certosa di Bologna. Splendido l’epitaffio che il grande invalido di guerra Carlo Delcroix, scrisse per lui: «Visse abbastanza da rivendicare con il proprio nome quello dell’Esercito che si voleva colpire in uno dei suoi Capi più degni, ma il cuore che aveva contenuto il giubilo della guerra vinta e l’angoscia della guerra perduta alla fine si infranse. La famiglia che amò più di se stesso e l’Italia che servì fino alla morte, nel piangerne la perdita, non vogliono sia perduto il suo esempio».

 

Nelle foto: Federico Baistrocchi al lavoro nel suo studio; con l’uniforme di generale; nel 1947 mentre si difende al processo 

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