FILM: IN QUESTO ANGOLO DI MONDO

Il Giappone com’era,
prima di Hiroshima

 

Un film ambientato nei dintorni di Hiroshima durante la Seconda guerra mondiale non può che avere il suo acme quell’orrendo 6 agosto 1945. Quando si entra in sala, dunque, si crede di essere preparati a ciò che ci aspetta alla fine della pellicola.

Ma il vero asse portante del lungometraggio di Sunao Katabuchi, In questo angolo di mondo (Kono sekai no katasumi ni) è il lento scivolare del Giappone degli anni Trenta verso l’apocalisse della guerra. La caduta del mondo pre-bellico verso il conflitto mondiale è raccontata attraverso gli occhi di Suzu, una ragazzina che vive con la famiglia alla periferia di Hiroshima. Distratta, svagata, generosa, Suzu ha uno straordinario talento per il disegno e la pittura.

Nel 1944 la ragazza viene chiesta in sposa da un giovane di Kure, un porto militare a 15 chilometri da Hiroshima. La sua nuova vita scorre adagio, e mentre internamente Suzu è alla ricerca di una sua collocazione esistenziale, all’esterno il mondo procede fra sempre maggiori privazioni e difficoltà – il razionamento alimentare, la minaccia dei bombardamenti – fin quando la guerra raggiunge Kure con tutta la sua brutalità. Le bombe sganciate dai B29 americani, i mitragliamenti insensati sulla popolazione civile, la morte e le sofferenze di migliaia di innocenti sconvolgono la vita di Suzu e della sua nuova famiglia.

In questo angolo di mondo scorre lentamente, come un film drammatico della nouvelle vague giapponese più che come un anime. I primi – infatti – più influenzati dal romanzo, si snodano in lunghi affreschi, mentre i cartoni animati, debitori del teatro popolare, hanno trame più asciutte e coinvolgenti.

Forse per questo motivo, rispetto ad altri film d’animazione a carattere storico – e qui il paragone non può che andare al devastante Una tomba per le lucciole di Isao Takahata – risulta meno trascinante, meno empatico.

In realtà la pellicola di Katabuchi è come un alcolico raffinatissimo che fa salire la sbornia molto, molto lentamente. Alla stessa maniera l’infinita tristezza che permea il film matura solo col passare delle ore.

Hiroshima, fine di un’era

Una tristezza che non è solo quella della spietata esposizione degli effetti della guerra sulla gente e sulle cose. La tristezza è quella dettata dal racconto della fine di un’età dell’oro. Il film di Katabuchi infatti è un capolavoro di patriottismo. Un patriottismo delicato, nostalgico, mai becero.

In tutto il film non si vede una sola bandiera Hi no maru, col Sol Levante. Ma un sentimento di struggimento e di nostalgia attanaglia fin da subito lo spettatore, sapendo già che tutto ciò che viene mostrato fin dalle prime scene della pellicola è destinato a essere ridotto in cenere.

Un mondo fatto di case in legno e carta, povero ma elegante, dignitoso, armonioso, in cui c’è ancora spazio per l’irruzione del regno degli Spiriti. Un mondo che sappiamo essere condannato a venir sostituito nel presente dal cemento e dalla plastica, dalle insegne al neon e dal traffico, dalla volgarità e dal caos.

L’orgoglio di Katabuchi per i primi 20 anni dell’Era Shōwa, iniziata nel 1926 con l’ascesa al trono dell’Imperatore Hirohito, è palpabile. L’orgoglio per uno stile di vita, innanzitutto, perso per sempre. L’orgoglio per la superba marina che con la sua gigantesca corazzata Yamato ha sfidato sull’oceano la potenza degli Stati Uniti. Orgoglio per le prove di eroismo e attaccamento al dovere che il popolo giapponese è stato in grado di mostrare al mondo, anche nel piccolo mondo di una periferia rurale.

Katabuchi non risparmia allo spettatore dettagli che non hanno nulla da invidiare al Neorealismo italiano – come la carta delle Lucky Strike gettata dalle truppe d’occupazione americana negli avanzi di cucina distribuiti durante l’occupazione alla popolazione giapponese affamata – ma nessuno dei nostri registi ha mai avuto il coraggio di rappresentare senza scivolare nella farsa un italiano in lacrime per aver perduto la Seconda guerra mondiale.

Un film che racconta come gli anni Trenta e Quaranta in fin dei conti siano stati una epoca bella e perduta. E che il prezzo pagato per esserne stati tirati fuori (o «liberati», come si dice) è stato mostruosamente alto. Forse, con buona pace di chi non conosce la Storia, troppo alto.

Emanuele Mastrangelo

 

In questo angolo di mondo di Sunao Katabuchi. Tratto dal manga «Kono sekai no Katasumi» di Fumiyo Kōno
La presente recensione è apparsa su «Barbadillo. Laboratorio di idee nel mare del web» e su EdicolaWebTv il 27.9.2017

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