ANDREA GRAZIOSI

L’Ucraina e Putin
tra storia e ideologia

Andrea Graziosi, L'Ucraina e Putin tra storia e ideologia, Laterza Editori

 

Uno storico come Andrea Preziosi, autore di importanti studi sull’Unione Sovietica, non poteva non affrontare il tema dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. Lo ha fatto con il libro L’Ucraina e Putin. Tra storia e ideologia, edito da Laterza.

Kyiv, memoriale alle vittime di Majdan NezaležnostiPur consapevole che per uno storico sia teoricamente errato confrontarsi con l‘attualità e tantomeno fare ipotesi sul futuro, Andrea Graziosi può permettersi di parlare dei rapporti tra Russia e Ucraina e dire qualcosa sulla guerra in corso in forza dei suoi lavori precedenti.

Ci riferiamo in primo luogo alla Storia dell’Unione Sovietica in due volumi (1914-1945 e 1945-1991), al saggio La grande guerra contadina in Urss e alle Lettere da Kharkov.

Evitando gli instant book centrati soprattutto sul tema della guerra abbiamo via via recensito su queste pagine i principali testi riguardanti la storia dell’Ucraina (Massimo Vassallo, Giorgio Cella, Aldo Ferrari, Massimiliano Di Pasquale) e i pochi studi pubblicati in Italia sull’Holodomor, il genocidio per fame voluto da Stalin nel 1932-1933 (Ettore Cinella, Anne Applebaum, Vasilij Grossman, e gli atti del convegno La morte della Terra).

L’Ucraina e Putin conferma le analisi che avevamo già condiviso con i nostri lettori e approfondisce le divergenze che si sono prodotte nelle società e nei gruppi dirigenti russi e ucraini dopo il 1991, anno della dissoluzione dell’Urss e della raggiunta indipendenza ucraina.

Nella prima parte del libro Andrea Preziosi descrive il processo di consolidamento dello stato ucraino indipendente e nella seconda il percorso compiuto dalla Russia fino agli attuali propositi «imperiali» di Vladimir Putin.

Il definito affrancamento dell’Ucraina

Il popolo ucraino in piazza a Kyiv durante la rivolta di EuromajdanAll’inizio degli anni Novanta sia Mosca che Kyïv avevano affrontato con prudenza e ragionevolezza le problematiche legate alla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica e all’indipendenza ucraina, compreso il trasferimento delle testate nucleari che quest’ultima aveva ereditato dall’Urss.

Poi mentre Kyïv sia pur lentamente e con accelerazioni e frenate andava costruendo la propria dimensione di stato sovrano, a Mosca cresceva l’insofferenza per la presunta «umiliazione» del 1991 e si consolidava l’ambizione di Vladimir Putin di tornare a riprendere il pieno controllo di quello che definiva il Russkij mir, l’«universo russo».

Al definitivo affrancamento dell’Ucraina, concretizzatosi nel 2014 con la rivolta di Euromajdan e la fuga del presidente Janukovyč, Putin rispose con l’annessione della Crimea e l’apertura di un fronte di guerra in Donbas. L’invasione dell’intero territorio ucraino cominciata il 24 febbraio 2022 puntava alla cancellazione di fatto della sua entità statale.

La tenace resistenza del popolo ucraino, sostenuta dalle armi occidentali, ha inferto duri colpi all’aggressore, pur pagando e continuando a pagare un prezzo altissimo i termini di vittime, distruzioni e violenze subite.

È dunque difficile pronosticare ora la fine della guerra, immaginare come evolverà la situazione sul campo di battaglia, prevedere quando Putin deciderà di fermarsi o quanto ampie potranno essere le mutilazioni che il territorio ucraino rischia di subire.

L’Holodomor e le stragi 1919-20 e 1940-1954

Kyiv, Monumento all'Holodomor Nella prima parte del libro centrata sull’Ucraina, Andrea Graziosi spiega come da un punto di partenza per certi versi simili Ucraina e Russia abbiano avuto uno sviluppo progressivamente divergente. Le élite e i gruppi dirigenti ucraini, così come quelli delle altre ex repubbliche socialiste, si erano infatti formati sull’omogeneo modello sovietico, sia in campo politico e culturale sia economico.

«Come i suoi vicini − scrive Graziosi − il nuovo Stato portava anche nella sua struttura demografica le profonde cicatrici del passato sovietico, dall’Holodomor all’Olocausto e alla seconda guerra mondiale fino alla crisi generata dal sistema di vita sovietico, che aveva trovato in un devastante alcolismo una delle sue manifestazioni principali».

L’Ucraina la cui aspirazione all’indipendenza da Mosca risaliva alla dissoluzione dell’Impero zarista seppe costruire un suo percorso nazionale che ne rafforzò progressivamente la raggiunta autonomia.

Il russo come lingua veicolare

Un punto centrale secondo l’autore è stata la scelta di abbandonare la pratica del passaporto interno con la doppia cittadinanza sovietica ed etnica (russa, uzbeka, lettone, ebraica, ucraina, eccetera) formula che ancora esiste nella Federazione Russa.

In Ucraina tutti i cittadini sono ucraini allo stesso modo, indipendentemente dal loro gruppo etnico, dalla loro lingua e dalla loro religione.

Nel Paese sono presenti più Chiese Ortodosse e la Chiesa Cattolica di rito orientale. E la lingua russa che continua ad essere parlata, sia in via prevalente sia mischiata all’ucraino, non è tuttavia un connotato etnico, come Mosca vuole far credere.

Essendo la lingua veicolare del passato mondo sovietico «il russo − osserva Graziosi − si è ‘de-etnicizzato’, sulla falsariga di quello che è successo in Europa con l’inglese».

La scelta europea dell’Ucraina

La scelta europea dell'UcrainaIl secondo punto di divergenza di Kyïv da Mosca riguarda la scelta di avvicinarsi all’Europa mentre la terza è la consapevolezza che la propria storia nazionale è costellata delle violenze e dei massacri inferti al suo popolo dall’ingombrate vicino.

Nel 1919-1920 dopo la guerra civile seguita alla rivoluzione russa in concomitanza con la quale l’Ucraina attuò il primo tentativo di indipendenza, negli anni Trenta con le persecuzioni staliniste e il genocidio dell’Holodomor, negli anni Quaranta e Cinquanta con il secondo tentativo dell’Ucraina di farsi nazione indipendente e la terribile repressione che ne seguì.

Il percorso della Russia

Di grande interesse è anche la seconda parte di L’Ucraina e Putin con la ricostruzione del percorso che ha coinvolto l’élite e la gran parte della popolazione russa, soprattutto delle grandi città, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991.

«L’Urss che dominava su ampie zone dell’Europa orientale, compresi i territori annessi nel 1939-45 e i vasti territori del Caucaso e dell’Asia centrale ereditati dagli Zar − spiega Graziosi −, è crollata a causa del fallimento dei suoi presupposti economici, ideologici, tecnologici e sociali», liberando con il suo crollo le nazioni che teneva incatenate a Mosca.

All’interno della Federazione Russa era presto svanita l’illusione secondo cui per ottenere i benefici che un mercato ben più sviluppato e regolato garantiva all’Europa era sufficiente rinunciare al sistema sovietico e dichiarare il passaggio a un «sistema capitalista».

Era così subentrata la frustrazione e un desiderio di rivalsa verso l’Occidente per una presunta umiliazione. Inesistente in quanto il sistema sovietico era collassato dall’interno e non sotto una spinta esterna.

L’ascesa di Putin e il ritorno al «mondo Russo»

La maggiore disponibilità di risorse dovute all’impennata dei prezzi dei prodotti energetici, rese possibile a Putin, diventato primo ministro nel 1999, di procedere alla ricostruzione dello stato su basi autoritarie e gli consentì di affermare un’ideologia neo sovietica che si pone come obiettivo la ricostruzione dello spazio imperiale «perduto».

Meno convincenti sono le pagine del libro di Graziosi nelle quali si valuta una comparazione dei limiti del sistema sovietico-russo con analoghi deficit che si sarebbero potuti sviluppare negli altri totalitarismi del Novecento, il fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco.

Non soltanto per la diversa durata dei rispettivi regimi (12 anni in Germania, 21 in Italia e 74 in Urss) e per la loro radicalmente diversa conclusione.

Graziosi rileva come la Federazione Russa abbia ereditato dalla chiusura dell’Urss al mondo esterno immensi danni in campo culturale e delle scienze umane e sociali che inevitabilmente pesano sul presente, ma ciò è dovuto ad una caratteristica peculiare al modello sovietico che non ci pare possa essere retroattivamente attribuita agli altri regimi totalitari del Novecento.

Il «socialismo reale» aveva la caratteristica di costituire una «prigione interna» per il suo popolo e per le nazioni assoggettate, nei confronti del quale esercitava un controllo poliziesco, una repressione e una violenza che non hanno avuto eguali. La cosiddetta Cortina di ferro, è bene ricordarlo, non aveva lo scopo di proteggere il mondo sovietico da un’aggressione esterna, ma serviva a far sì che la sua popolazione, terribilmente vessata, non fuggisse via.

Vincenzo Fratta

 

 

 

Andrea Graziosi
L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia
Laterza, pp.167

 

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