MERCATO DEL LAVORO

Continua l’esodo
di giovani e laureati

Giovani laureati o studenti che preferiscono cercar fortuna e programmare la loro carriera nel mercato globale, anche fuori dai confini nazionali. Nel 2015, ultimo dato certificato Istat, sono stati 23mila, con un aumento del 15 per cento rispetto al 2014, e con la sola certezza che rispetto a tutte le emigrazioni precedenti dalla fine dell’Ottocento in poi, questa è la prima migrazione di giovani che partono con il diploma in tasca.

Se consideriamo che i cittadini italiani emigrati con più di 24 anni, sono per il 31 per cento in possesso di una laurea e che la media di laureati tra i cittadini italiani è del 14,8 per cento, comprendiamo la portata di tale fenomeno.

In precedenza chi partiva, erano persone scarsamente acculturate che non trovavano più lavoro in Italia, ora parte la meglio gioventù, un capitale umano molto elevato. Si tratta di un vero e proprio impoverimento del nostro Paese che esporta medici e ingegneri e importa badanti. Il motivo principale è che non esiste una vera e propria domanda di capitale umano, perché si è storicamente puntato sulle politiche del lavoro invece che su quelle della produzione.

Partono soprattutto per i paesi europei: Regno Unito e Germania, almeno fino alla Brexit sono state le due mete preferite degli emigrati, seguite da Svizzera e Francia. Partono in tanti dalla Sicilia ma tantissimi anche da Lombardia, Veneto e Trentino. «Intanto dobbiamo dire che i movimenti all’interno dell’Europa non possono considerarsi come delle vere e proprie emigrazioni, ma come spostamenti anche fisiologici: piuttosto dovremmo chiederci perché i tedeschi o i francesi non vengono da noi», si domanda Francesco Billari, professore di demografia alla Bocconi.

In passato le famiglie non si disgregavano o perché finivano per partire tutti o perché c’erano sempre uno o due figli che restavano a casa. Oggi che non è più così, il fenomeno emigratorio finisce per contribuire all’innalzamento dell’età della popolazione italiana, quel fenomeno che si definisce già il «care drain».

Se centocinquantamila italiani che se ne vanno possono sembrare pochi, riflettiamo che, in dieci anni, saranno ben un milione e mezzo! Questo impoverimento del Paese è il frutto inevitabile delle cattive scelte dei nostri governanti e alla preminenza tuttora accordata alla «raccomandazione» a scapito dell’analisi dei meriti. Come avviene nel resto d’Europa occorre cominciare ad investire seriamente in formazione e sviluppo affinché l’Italia possa tornare ad essere un paese per giovani!

Gaetano Di Terlizzi

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