LA MORTE DI GIGI RIVA

Addio
Rombo di tuono

Gigi Riva con Pelè

 

Sono anni, ma facciamo finta che siano minuti. A ridosso dell’80esimo Gigi Riva ci ha lasciato, esce dal campo un fuoriclasse che abbiamo amato moltissimo. Non solo per ciò che ha fatto da giocatore, ma per quello che era come persona: schivo, schietto, agli antipodi delle superstar patinate di oggi.

Gigi Riva nel 1968 con la maglia della Nazionale Italiana

Quelle che festeggiano i gol con balletti da Broadway. Che se cadono a terra per un fallo pare che li abbiano abbattuti con una raffica di mitra. E che tra una partita e l’altra girano-oscillano-rimbalzano da un’occasione mondana a un’altra. Tv, social, quello che volete: basta che i riflettori siano accesi.

Pensi a Cristiano Ronaldo e te lo immagini nel salone immenso di una villa da sogno: metallo lucidissimo e vetrate a tutta parete, arredamento di lusso che un divano costa quanto un’automobile. Un’automobile normale. Perché le sue, invece, costano quanto una casa. Una casa normale. O magari un paio.

Pensi a Gigi Riva e ti viene in mente il legno e la pietra.

Una pietra allo stato naturale che si può smussare – smussare, non levigare – giusto quel tanto che serve per adattarla all’uso.

Un legno duro e nodoso, intagliato a mano. Con pazienza e con perizia, ma senza né sfoggio né vanità. Il bello, il meglio, è averci lavorato con cura. Che poi sia venuto anche così bene è solo una conseguenza.

Varese-Cagliari, solo andata

Gigi Riva portò il Cagliare ad aggiudicarsi l'unico Scudetto di Serie A della sua storia nel Campionato 1969-1970

Gigi Riva era lombardo di nascita e di famiglia. Nato a Leggiuno, in provincia di Varese, il 7 novembre 1944. Aveva iniziato a due passi da casa, nel Laveno-Mombello, e proseguito nel Legnano. Poi, nel 1963, era stato acquistato dal Cagliari. Che all’epoca militava in Serie B. Dopo esservi risalito dalla C.

Gigi Riva arrivò in Sardegna – una Sardegna in cui la Costa Smeralda era un progetto ancora agli albori, voluto dal principe musulmano-britannico Karim Aga Khan – e cominciò la sua progressiva e irresistibile ascesa di bomber dalle qualità superiori.

Otto gol il primo anno. Nove il secondo. Undici il terzo. E via a salire. Sino a imporsi per tre volte come capocannoniere del campionato di A. Sino, soprattutto, a guidare il Cagliari alla conquista del suo unico scudetto, nella stagione 1969-70.

Lombardo di stirpe, sardo d’adozione

Un trapianto perfettamente riuscito. Perché ci sono terreni facili dove può prosperare qualsiasi pianta e altri, più aspri, per i quali devi essere adatto. Lui lo era. E infatti mise radici profonde e saldissime, che non volle mai più rimuovere.

Lo cercarono gli squadroni del Nord, e in particolare la Juventus con una maxi offerta da un miliardo (di lire, di cinquanta anni fa).

Rimasero sirene inascoltate. Anzi, zittite. Perché mai dovrei andarmene, se sto bene qui?

Altra tempra, altri tempi. Quando il calcio giocato era lo scopo, la molla, il senso. Mentre i privilegi che ne derivavano erano soltanto dei riverberi, benché piacevolissimi.

Certo che lo sappiamo, leggendario e travolgente «Rombo di tuono», caro e indimenticabile Gigirriva. Avresti comunque fatto lo stesso, anche senza tutti quei soldi e tutta quella fama.

Ti saresti battuto comunque per quei colori e per quella gente. Con la stessa passione. Con la stessa dedizione.

Gerardo Valentini

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