AL CINEMA: BABY DRIVER

Rapine e inseguimenti
a ritmo di musica

Dopo la disastrosa collaborazione con i Marvel Studios per Ant-Man, conclusa con l’abbandono del progetto, Edgar Wright torna al cinema dopo una lunga assenza. Alla maggioranza degli spettatori italiani questo nome non dirà molto, ma Wright dai primi anni 2000 si è imposto come regista cult grazie alla trilogia del cornetto (L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, La fine del mondo), serie parodistica che ha come filo conduttore la presenza dei due attori protagonisti e, come da titolo, il Cornetto Algida, mangiato dai personaggi, perché considerato un ottimo rimedio per il dopo sbronza. Questi film hanno conquistato una nicchia di pubblico grazie al passaparola e al mercato Home Video. Con Baby Driver invece il regista si occupa del cosiddetto heist movie, genere action con a tema le rapine.

Baby, fenomeno alla guida, per coprire un debito, è costretto dal boss criminale Doc (Kevin Spacey) a portare in salvo rapinatori e refurtiva. Il giovanissimo guidatore disprezza il mondo del crimine e prova in ogni modo ad uscirne, trovandosi però in situazioni sempre più pericolose. La pellicola trae ispirazione dal videoclip Blue Song dei Mint Royale, diretto dallo stesso Wright e riproposto interamente nella sequenza iniziale. Il tema del film, molto abusato nella storia del cinema, viene reinterpretato secondo la sua particolare visione, come fatto in maniera diversa dal danese Nicolas Winding Refn con il Drive che lanciò Ryan Gosling. Senza però il tono dissacratorio e caricaturale dei precedenti lavori.

La messa in scena di Wright è molto misurata e controllata, abbandona molte sue caratteristiche tipiche, ad esempio l’utilizzo massiccio di splatter e momenti totalmente paradossali, giustificabili in quei casi nel registro parodistico utilizzato, ma che in Baby Driver sarebbero risultate fuori luogo. La direzione intrapresa dal film infatti, è di prendere seriamente il genere e di essere, nonostante alcune venature comiche, un heist movie in tutto e per tutto, con l’inserimento di una riuscita love story. Nonostante ciò si nota la grande abilità registica dal primo all’ultimo minuto, accompagnata da alcune citazioni dei suoi film. Baby Driver è caratterizzato da tantissime sorprese e trovate originali, prima di tutto l’utilizzo della musica. Questa infatti è costantemente presente ma mai fastidiosa, perché contestualizzata all’interno della storia. Il protagonista Baby ascolta perennemente brani di ogni tipo con le cuffiette, a causa di un trauma subito durante l’infanzia. Ogni canzone che sentiamo è contemporaneamente riprodotta nell’Ipod di Baby. La colonna sonora è l’elemento portante del film, i personaggi seguono il ritmo musicale insieme alla messa in scena. I movimenti di macchina, altra presenza costante, e soprattutto il montaggio vengono adoperati a tempo con la musica, in particolare nelle numerose scene concitate. Degne di nota anche le interpretazioni del cast, su tutti Jon Hamm (noto per la serie Mad Men) che riesce a mettere in ombra anche Kevin Spacey.

Wright si riconferma capace di lavorare sui generi cinematografici, riuscendo facilmente a passare da uno all’altro. Capacità, insieme all’importanza data alla musica, già riscontrabile nei film del «cornetto». Anche nella precedente trilogia, il regista inglese è molto attento nel dare una dignità cinematografica al genere che ha intenzione di parodizzare. Questa caratteristica rende di conseguenza particolarmente riuscita la presa in giro degli schemi tipici. Elemento che ritroviamo, ad esempio, anche in Scream di Wes Craven. Prodotto credibile come horror, in cui allo stesso tempo si ironizza sugli stereotipi di questa categoria. Sta qui la differenza qualitativa tra i film di Wright e le deprimenti parodie americane, sul modello di Scary Movie, nonostante l’orribile titolo (L’alba dei morti dementi) con quale è stato distribuito in Italia il suo primo film. Tutti i «cornetto movies» infatti possono essere considerati ottimi «zombie movie», polizieschi o film di fantascienza.

Con il suo ultimo lavoro il regista alza invece l’asticella, passando definitivamente dalla parodia al genere puro. Seguendo il percorso di un grande come John Landis, di cui Wright si candida erede. L’operazione di Baby Driver è simile a ciò che Landis fece con Un lupo mannaro americano a Londra. L’autore americano, fino a quel momento autore di commedie di successo (Italia 1 ci ricorda ogni vigilia di Natale il suo Una poltrona per due), girò un film che esulava totalmente dalla sua precedente produzione, all’epoca addirittura vietato ai minori di 18. Non a caso Wright è un grande fan della pellicola. Inoltre gli spettacolari inseguimenti tra Baby e la polizia ricordano la folle sequenza finale di Blues Brothers, ancora di Landis. Per concludere Baby Driver risulta grandioso ed esaltante, per la tipologia di film a cui appartiene, capace di intrattenere ogni categoria di pubblico. Dimostrando nuovamente come Wright non sia solo un banale regista di commedie.

Francesco Fratta

Baby Driver di Edgar Wright. Con Ansel Elgort, Kevin Spacey, Jon Hamm, Jaimie Foxx

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