AUTUNNO TEDESCO

1946: Guai
ai vinti!

 

Non c’è settimana che sui maggiori organi di stampa e nelle librerie compaiano, articoli, ricostruzioni o saggi riguardanti qualche episodio della Seconda guerra mondiale dove l’esercito tedesco o, come più genericamente «i nazisti», non si siano macchiati di orrori, atrocità o violenze. A settantatre anni dal suo termine, la più grande tragedia della storia dell’umanità andrebbe affrontata con un maggiore sforzo di comprensione e di equilibrio.

Quella che è stata opportunamente definita da alcuni storici come la seconda guerra civile europea fu una catastrofe immensa. Vi morirono oltre 54 milioni di persone, e per la prima volta il numero dei civili morti, 30 milioni, superò quello dei combattenti caduti. Ci fù una enorme distruzione del patrimonio abitativo e di beni culturali. Milioni di persone soffrirono disagi enormi – ferite, fame, perdita dell’abitazione –, e altrettante al termine del conflitto dovettero abbandonare per sempre i loro luoghi di origine.

Quello che si tende a non ammettere o non ricordare è che gli orrori, le atrocità e le violenze non furono a senso unico ma furono commesse da tutte le parti in conflitto.

Nonostante ciò non venga mai evidenziato è proprio la Germania, in quanto principale nazione sconfitta, ad essere il paese che ha pagato il prezzo più alto, inteso in tutte le declinazioni possibili. Qualche cifra: 7milioni 418mila morti, di cui 2milioni 100mila civili, 40 città distrutte per più del 50%, 3.379 appartamenti distrutti, 2milioni di feriti, 18 milioni di soldati prigionieri, 10 milioni di senza tetto e 10 milioni di tedeschi costretti al termine del conflitto a lasciare per sempre i luoghi di origine nei territori dell’Est Europa (Prussia Orientale, Pomerania Orientale, Posnania, Slesia). A queste cifre vanno aggiunte le deportazioni e le vessazioni subite da militari e civili avvenute nella zona di occupazione sovietica. È stato calcolato che il numero delle donne violentate dai soldati russi non sarebbe inferiore ai 2milioni. Per completezza dei dati occorre infine dire che Russia, per la sua estensione, è la sola nazione ad aver subito più vittime della Germania, oltre 20 milioni.

A ricordarci le sofferenze dei tedeschi vinti, a farci comprendere, per quanto possibile, la loro intensità, contribuisce la prima traduzione italiana di Autunno tedesco, un reportage nella Germania distrutta dalla guerra, redatto dallo scrittore svendere Stig Dagerman, edita da Iperborea (pag.159, €16).

Tra l’ottobre e il dicembre 1946, Dagerman compì un viaggio in quel che restava delle città tedesche, per conto del quotidiano Expressen di Stoccolma. A differenza degli altri cronisti che guardavano senza vedere, il ventitreenne svedese, seppe cogliere in tutta la sua drammaticità la condizione della popolazione. Nelle pagine di Autunno tedesco troviamo i bambini ammalati nelle cantine allegate della Ruhr, di Düsseldorf o di Amburgo, le uniche rimaste in piedi dopo i bombardamenti terroristici degli Alleati. Dove l’acqua fredda arriva alle caviglie mentre «le patate nella pentola aspettano, col tempo, di diventare commestibili».

Troviamo la descrizione delle Cattedrali dai campanili amputati, degli edifici distrutti, dei ponti ridotti a monconi, dei cimiteri bombardati. «Viaggiando in treno ad Amburgo – racconta Dagerman – si ha un panorama ininterrotto su quel che somiglia ad un’enorme discarica di frontoni in pezzi, singoli muri rimasti in piedi, con finestre senza vetri (…) indefinibili resti di case con ampie e nere tracce di incendio».

Leggiamo dei treni merci colmi dei profughi delle regioni dell’Est, ormai ex tedesche, divenute nel frattempo Polonia o Russia, che restano fermi per giorni alle stazioni in attesa di una difficile sistemazione.

C’è questo e molto altro in Autunno tedesco. Come scrive Fulvio Ferrari nella postazione al libro, Stig Dagerman è uno dei pochi ai quali «l’idea della colpa collettiva gli appare una crudele mistificazione tesa a giustificare lo stato delle cose».

Vincenzo Fratta

Nella foto di copertina: Dresda. Nella foto sopra: Amburgo.

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