REDDITO DI CITTADINANZA /2

Occorrono misure efficaci
per entrare nel mondo del lavoro

Come va sostituito il Reddito di Cittadinanza

 

Lo abbiamo scritto la settimana scorsa: il Reddito di cittadinanza è «la risposta sbagliata a una situazione altrettanto sbagliata». Toglierlo di mezzo, quindi, è un obiettivo del tutto condivisibile.

Come va sostituito il Reddito di Cittadinanza. Le attuali file ad un inerte Centro per l'ImpiegoBene ha fatto il Centrodestra a inserirlo nel suo programma elettorale. Lo si dice espressamente al punto 9, intitolato «Stato sociale e sostegno ai bisognosi», spiegando che il reddito di cittadinanza verrà sostituito «con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro».

Eppure, eliminata questa parte del problema, si è solo a metà strada. O anche meno. Ciò che rimane inalterato è l’intreccio di disoccupazione e conseguente povertà.

Il degrado del mercato del lavoro

Un intreccio vasto, e drammatico che non si può addebitare soltanto alla cattiva volontà delle singole persone. Vero: una parte di esse ha delle responsabilità individuali, che però andranno accertate in chiave altrettanto individuale. Ancora più vero: per moltissimi altri le difficoltà specifiche sono dovute a circostanze oggettive.

Circostanze che si possono riunire in una formula sintetica: il degrado del mercato del lavoro.

La «giustificazione» standard è che il mondo è cambiato, innanzitutto a causa della globalizzazione, e che le spinte in atto sono ineluttabili. Appellandosi alla competizione planetaria (spacciata per una tendenza spontanea quando invece si è trattato di una scelta deliberata, vedi la creazione nel 1995 della World Trade Organization (Wto) si sono sgretolate le caratteristiche fondamentali del settore: contratti precari al posto di quelli stabili, retribuzioni al ribasso, rapporti part-time imposti a chi non li vorrebbe, abuso dei sedicenti stage per abbattere i compensi. E l’elenco potrebbe continuare.

Difficile trovare un impiego decente

Il risultato è fin troppo noto. Trovare un lavoro decente, ossia non temporaneo e pagato per quello che merita, è diventato una fortuna insperata. Per non dire un miraggio. La percezione di questa dilagante incertezza, sommata alle frustrazioni che ne derivano a getto continuo, ha scoraggiato un numero crescente di persone dal dannarsi l’anima per cercare un impiego di qualunque tipo.

Tanto, essendo insicuro e mal retribuito, non basterà comunque a garantire quella «esistenza libera e dignitosa» di cui parla l’art. 36 della Costituzione.

Il degrado del mercato del lavoro rientra in un degrado generale della nostra società e deve essere affrontato come tale. Le cause non sono solo di natura economica ma si intrecciano a tanti altri fattori. Legati a doppio filo ai modelli dominanti. A quelli espliciti e a quelli impliciti. A quelli celebrati dai media e a quelli suggeriti, in modo strisciante, dai pessimi esempi che arrivano anche dalle classi dirigenti. Politici inclusi.

Necessario un cambio di mentalità

Eliminare il Reddito di cittadinanza deve significare soprattutto un cambio di mentalità. Una rigenerazione sociale e culturale, che porti a rigettarne le logiche e a sostituirle con un approccio infinitamente più dinamico e attivo.

Una vera meritocrazia che faccia piazza pulita, finalmente, delle innumerevoli distorsioni che si sono affermate sino a dilagare: le promozioni facili a scuola, le raccomandazioni clientelari onnipresenti, le ascese «fulminee» degli influencer online o dei partecipanti ai reality show della tv. E via degenerando, lungo la china dei favoritismi e delle apparenze.

Questa bonifica, però, richiederà per forza di cose del tempo. E questo tempo non potrà essere poco. Così come non è stato poco quello necessario ad arrivare alla situazione odierna.

La povertà come fenomeno complessivo non va affatto confusa con il problema delle manchevolezze individuali. I sussidi, comunque li si voglia definire e disciplinare, servono a impedire che dei cittadini incolpevoli sprofondino nell’indigenza: di per sé stessi non sono certo sufficienti a rimuovere le cause di quell’impoverimento che sconfina nella miseria, ma diventano indispensabili nell’immediato. E lo rimangono fintanto che non si siano ripristinate delle dinamiche sane, o perlomeno non troppo malate, nel mercato del lavoro.

Alla larga dall’assistenzialismo. Ma l’alternativa non può essere un brutale e generalizzato «chi non lavora se la prenda con sé stesso».

Gerardo Valentini

 

 

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