PARTITE IVA

Una su quattro sotto
la soglia di povertà

 

I lavoratori autonomi in Italia sono diminuiti di 297.500 unità (-5,5%) dal 2008 al primo semestre del 2017, contrariamente al numero dei lavoratori dipendenti, che è invece aumentato di quasi l’1,8%. La crisi economica ha quindi colpito maggiormente il popolo delle partite Iva rispetto ai lavoratori dipendenti e i pensionati: una partita Iva su quattro è dunque finita sotto la soglia di povertà. L’allarme arriva da uno studio dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese (Cgia), che ha rilevato come le famiglie che vivono grazie ad un reddito da lavoro autonomo siano quelle più a rischio. Si stima che 2015, il 25,8% delle famiglie di questa categoria sia riuscita a vivere stentatamente al di sotto della soglia povertà calcolata dall’Istat. Un rischio povertà maggiore di quello a cui può andare incontro un pensionato o un lavoratore dipendente: per quei nuclei in cui il capo famiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio, calcola la Cgia, si è attestato al 21%, mentre per quelle che vivono con uno stipendio/salario da lavoro dipendente il tasso si è fermato al 15,5%.
Questo per dire che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva: ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative.

Sempre tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno, a livello territoriale, si legge nella nota Cgia, il popolo delle partite Iva ha segnato la contrazione più marcata in Emilia Romagna (-12,7 per cento), in Calabria (-12 per cento), in Liguria e in Abruzzo (entrambi i casi con una riduzione del 10,4 per cento). La ripartizione geografica più colpita da questa moria, invece, è stata il Mezzogiorno (-7 per cento). Infine, il reddito delle famiglie con fonte principale da lavoro autonomo ha subito in questi ultimi anni (2008-2014) una «’sforbiciata» di oltre 6.500 euro (-15,4 per cento), mentre quello dei dipendenti è rimasto quasi lo stesso (-0,3 per cento).
«A differenza dei lavoratori subordinati – fa notare il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – quando un autonomo chiude definitivamente l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero».
Di certo questo trand negativo è frutto di una scelta politica, volta a colpire in modo assiduo quanto decidono per un lavoro in proprio. E la mancanza di un vero sostegno per quanto poi chiudono le proprie attività, è a dir poco deludente, visti i tanti casi di piccoli imprenditori o liberi professionisti che hanno scelto la via del suicidio. Studi di settore e spesometri vari, non fanno altro che acuire le difficoltà del cosiddetto popolo delle partite iva. D’altronde basterebbe un semplice esempio come quello degli studi di settore che paragonano professionisti del nord a quelli del sud Italia, senza tenere conto delle abissali differenze esistenti.

Si provvederà a porre fine a tutto questo? O forse per Governo e Parlamento è più importante concentrarsi su una dubbia legge elettorale piuttosto che rispettare il lavoro di tanti contribuenti.

Gaetano Di Terlizzi

Lascia un commento