LA CANDY DIVENTA CINESE

Prosegue l’emorragia
dei marchi italiani

 

La dea turrita ha sempre più gli occhi a mandorla. In Italia, infatti, l’espansione dell’impero cinese prosegue a grandi passi. Ora è toccato allo storico marchio italiano di elettrodomestici: la Candy diventa cinese. La società, di proprietà della famiglia Fumagalli, è stata acquistata da Qingdao Haier, colosso del cosiddetto bianco, gli elettrodomestici, per 475 milioni di euro.

L’accordo è fatto: il gruppo, quotato a Shanghai, acquisirà il 100% dell’azienda dal 2019. Rumors filtrati da ambienti sindacali affermano che Haier stabilirà il suo quartier generale europeo a Brugherio, in quella Brianza del boom economico degli anni ’50 e ’60 e dove proprio la Candy, assieme a colossi come Fiat, Olivetti e Zanussi, crearono il cosiddetto «miracolo economico» che porto il nostro paese ai livelli produttivi di Belgio, Olanda e Francia arrivando a generare un incremento del Pil, tra il ’58 ed il ’63 del 6,3%.

Solo un anno fa Candy aveva annunciato un piano di investimenti da quasi 300 milioni di euro in tre anni. Ora, ovviamente, i piani industriali sono saltati ed il timore è grande per l’occupazione dei circa cinquemila dipendenti. La Candy ha sette siti produttivi tra Europa, Turchia e Cina. L’asset strategico conta 45 società controllate con uffici di rappresentanza in buona parte dei paesi industrializzati ed in via di sviluppo.

Beppe ed Aldo Fumagalli, rispettivamente presidente ed amministratore delegato del gruppo, hanno affermato: «Siamo felici di entrare in Haier. Qingdao Haier e Candy Group condividono la stessa visione, che è quella di continuare a migliorare la qualità della vita delle famiglie». E, sempre in una nota destinata alla stampa hanno affermato: «Crediamo che la capacità di innovazione, tecnologia e design unite allo stile italiano di Candy si integreranno perfettamente con il modello operativo di Qingdao Haier. Insieme soddisferemo meglio le crescenti richieste di prodotti più personalizzati e renderemo migliore e più semplice la vita delle persone». Certo il loro futuro, assieme a quello delle rispettive famiglie non potrebbe che essere più roseo con quanto hanno incamerato dalla vendita e questo spiega tanto trionfalismo. Ma agli occhi smaliziati di chi queste vicende le ha già viste accadere in un recente passato, suonano come generiche rassicurazioni prive di credibilità.

Forse non tutti ricordano la storia della Industria Buitoni Perugina (Ibp). La Perugina, nata nel 1907, venne poi incorporata nella Buitoni, ma sempre restando nelle medesime mani e con la stessa politica aziendale. Poi nel 1985 uno scellerato patto con la Cir di Carlo De Benedetti che aveva promesso il rilancio aziendale e grandi investimenti per l’innovazione tecnologica di fatto buggerando politici e sindacalisti. Infatti appena due anni e mezzo dopo, De Benedetti, nel 1988 la rivende al gruppo svizzero Nestlè che immediatamente sposta la sede legale da Perugia a Milano e comincia un taglio draconiano di sedi (chiude lo stabilimento di Castiglione del Lago), di prodotti (abbandona il panettone ed altri prodotti da forno) e di personale (da ben oltre cinquemila dipendenti – diecimila con l’indotto – agli 823 di oggi, compresi gli stagionali). Speriamo che, alla luce delle esperienze passate, i nostri politici non permettano che vicende come queste si perpetuino. Speriamo che oggi la storia non si ripeta, ma le premesse non sono delle migliori!

Lino Rialti

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