GLI EFFETTI DEL DIESELGATE

Motori diesel addio
già dopo il 2020?

 

A causa delle sempre più stringenti normative varate dai governi sull’impatto ambientale dei motori diesel, e la difficoltà oltre che gli ingenti investimenti (e quindi un aumento dei costi di produzione) da parte delle case automobilistiche per restare al passo con limiti imposti, ha scatenato un vero e proprio rifiuto verso il gasolio. Pertanto a causa del clima politico non favorevole inizia a non avere più senso continuare a investire per rinnovare una tecnologia che potrebbe essere bandita. Ai costruttori non resta quindi, per il futuro, che puntare sempre di più sui motori ibridi o elettrici.

Il caso Volkswagen (dieselgate) poi, ha avuto un impatto negativo sulle decisioni dei consumatori, soprattutto quelli più attenti all’ambiente, facendo crollare considerevolmente la domanda. Le amministrazioni comunali delle grandi capitali (a livello mondiale) inoltre, hanno incominciato a prendere misure sempre più restrittive in quanto proprio in queste città sono i motori diesel quelli che hanno un impatto ambientale molto elevato.

Generalmente il parametro incriminato è la CO2, ma in realtà i motori diesel a differenza dei benzina emettono meno CO2, il problema più grave però sta nel fatto che i diesel emettono molti più idrocarburi incombusti come il monossido di carbonio CO, gli ossidi di azoto NOx ed il particolato. Sono questi ad essere regolamentate dalle varie normative come Euro 4, 5, 6 dagli enti statali o sovranazionali. La CO viene naturalmente assorbita dalla vegetazione e la sua concentrazione va semplicemente limitata. Gli unici ad essere pericolosi anche per l’effetto serra sono gli altri idrocarburi incombusti che, combinandosi con i NOx, formano il cosiddetto smog fotochimico del quale fa parte anche l’ozono. È questo l’unico caso in cui le emissioni inquinanti hanno lo stesso effetto di quelle di CO2.

Secondo uno studio di Boston Consulting Group, i piani sempre più severi contro l’inquinamento, i prezzi delle batterie delle auto elettriche per chilowattora si attesteranno tra i 70 e i 90 euro nel 2020 e tra i 60 e gli 80 euro nel 2030. «L’investimento su un veicolo ‘green’ porterà – scrive L’Automobile – alla diminuzione sulle strade dei mezzi a combustione interna: i numeri parlano, per esempio, del diesel che passerà dal 48% al 36% nel 2020, a causa dei costi sempre più alti dovuti agli investimenti necessari a non sforare i limiti di emissioni. Il mercato principale per i veicoli elettrici rimarrà ancora la Cina, specie se si confermerà l’attuale contingenza con prezzi bassi per l’elettricità ed elevati per il gas. In Europa, invece, la scelta di motori tradizionali proseguirà fino al 2025, soprattutto per l’elevato costo dell’elettricità. A partire dal 2030 sul vecchio continente il 17% delle auto sarà totalmente elettrico e il 33% ibrido. Simile la situazione negli Usa».

L’OMS stima che il 92% della popolazione mondiale vive in aree dove i livelli di inquinamento superano quelli prescritti dall’OMS stessa e recepiti dalle normative. I sindaci, da parte loro, sono tenuti a rispettarle ed è per questo che hanno messo nel mirino il motore a gasolio, che presenta criticità sicuramente maggiori. L’area metropolitana di Tokyo (34 milioni di abitanti) è stata la prima a farlo partendo dal 2003 con un piano che vieta a mezzi commerciali e pesanti il transito. Il diesel è anche il primo obiettivo attaccabile per ridurre il volume delle auto circolanti all’interno dei grandi centri urbani e, di conseguenza le emissioni inquinanti il cui 20% è legato al trasporto. Va detto che di quei 6,5 milioni di morti per inquinamento, 3 sono dovuti ad esposizione all’aria esterna e che quasi il 90% riguardano paesi a reddito basso e medio e in regioni del Sud Est asiatico e del Pacifico occidentale. Dunque UE, Stati Uniti, Cina e Giappone fanno leggi che riguardano le emissioni che riguardano le automobili e la salute dei cittadini, ma sono i sindaci che hanno l’onere di controllarne i livelli nell’aria e, nel caso questi siano troppo alti, il potere di agire di conseguenza.

In questo contesto, l’Italia appare in controtendenza. Nella penisola il diesel conta ancora per il 56% del mercato dell’auto. «Ciò perché il governo italiano non ha ancora assunto una posizione chiara contro il diesel e perché l’Italia è il terzo Paese europeo dove la benzina costa di più», ha spiegato al Financial Times un analista di Jato Dynamics, Felipe Munoz. Esposta come è al mercato italiano, che conta per oltre metà del suo fatturato europeo, Fca è quindi l’unico grande costruttore europeo che lo scorso anno ha visto aumentare le auto diesel vendute, dal 40,4% del 2016 al 40,6%. Ciò rende ancora più interessanti i rumor che vogliono Fca tra le aziende che tirano la volata per l’addio al diesel. Ma la conferma si avrà solo a giugno, quando il gruppo guidato da Marchionne diffonderà il nuovo piano quadriennale.

 

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