VERTENZA ALMAVIVA

Alla Contact trasferimenti
punitivi da Milano a Rende

Almaviva Contact. Trasferimenti punitivi da Milano a Rende

 

Ancora una volta Almaviva, l’azienda leader del mercato del call-center in outsourcing, sale alla ribalta delle cronache. I lavoratori della sede di Milano sono oggi in sciopero. L’Almaviva Contact spa, costola di un gruppo da 32.500 dipendenti, di cui 14 mila in Italia distribuiti in sei sedi, con un fatturato nel 2016 di 733 milioni di euro, ha deciso, in seguito alla perdita di una commessa su cui erano impiegati 110 operatori, di trasferirne definitivamente 65 nella sede di Rende in provincia di Cosenza. Nella sede calabrese, infatti, sembra essere avvenuto il miracolo della moltiplicazione del volume di traffico telefonico; peccato che, nello stesso giorno, il gruppo comunica ai lavoratori di Rende di «aver necessità di smaltire le ferie e i permessi» per il mese di Ottobre»!

Il trasferimento, però, viene stabilito dopo che i lavoratori e le lavoratrici di Milano avevano votato «No» al referendum per approvare un’intesa capestro, firmata da una sola sigla sindacale. Almaviva Contact aveva infatti colto l’occasione della perdita della commessa per proporre a tutti i 440 operatori milanesi (non solo, quindi, i 110 impattati dalla revoca) un accordo che prevedeva il controllo individuale a distanza, la cassa integrazione a zero ore, gli straordinari non pagati, la piena decisionalità aziendale sulle ore di permesso e sui turni, da stabilire mensilmente a livello individuale.

Almaviva Contact. Trasferimenti punitivi da Milano a RendeIl «No» convinto dei lavoratori ha quindi scatenato la dura ritorsione aziendale. Poiché, inoltre, gli stipendi medi del personale trasferito, che dovrà lasciare casa e famiglia, non superano i 700 euro, risulta evidente che si tratta di licenziamenti mascherati.

Almaviva Contact, che vive di appalti pubblici e negli anni ha incassato milioni di euro di contributi statali, ci riprova, dunque, dopo il più grande licenziamento di massa dagli anni ’70 in poi – 1.666 lavoratori e lavoratrici sul sito di Roma a dicembre 2016 – e dopo i ricatti perpetrati nei confronti dei dipendenti di Napoli e Palermo, a cui, mediante altri accordi ricattatori, sono stati sottratti diritti e salario. Nello stesso tempo, con i soldi risparmiati sulla pelle del personale, apre un’altra sede in Romania e rileva un call center a Cagliari.

Quello del call center è oramai un settore senza regole, un Far West dove le gare al massimo ribasso e le delocalizzazioni sono all’ordine del giorno e dove le istituzioni indifferenti si girano dall’altra parte. Cosa succederà se altri settori decideranno di emulare tale modello?

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