DOPO IL DISIMPEGNO DI ARCELOR-MITTAL

Governo sulla graticola
per l’emergenza Ilva

 

Ma che senso ha continuare a foraggiare un’azienda decotta e che oramai nessuno vuole solo per tirare a campare? Parliamo dell’ex-Ilva di Taranto. Scudo penale sì o scudo no, questo non è il vero problema. Arcelor-Mittal voleva una scusa che gli è stata prontamente presentata e poi il resto è fuffa… Il vero vulnus sono i 5 mila esuberi. Il colosso della siderurgia franco-indiano non ce la fa con tutte quelle maestranze ad andare avanti, anche se non sono l’unico problema, anzi!

Poi possiamo fare come il Ministro degli Esteri Di Maio e lasciarci a rancorose dietrologie: «c’è un contatto firmato solo un anno fa che non prevede questa soluzione». E rilancia dai microfoni di Uno Mattina. «Il tema è che l’Italia si deve far rispettare, deve far rispettare un contratto e dispiace che i sovranisti stiano dall’altra parte».

Caro signor Ministro, il problema è che un imprenditore se non vede soluzioni chiude. I contratti si rescindono, gli utili o le perdite pesano molto di più, quando si deve rendere conto agli azionisti. L’azienda in questione è piena di problemi: l’aspetto bonifiche ambientali, la sicurezza sul lavoro, i limiti recenti alle emissioni in atmosfera e del rilascio delle polveri sottili, la realizzazione dei cosiddetti parchi minerari dove depositarie le scorie durante le fasi di lavorazione e tanto, tanto altro.

La pietra tombale, intanto, è stata messa dal premier Conte: «Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini previsti, piena occupazione e acquisto dell’ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo», eh niente, contrattare minacciando e non proponendo nulla in cambio. Questi sono nostri «eroi», tanto Arcelor-Mittal se ne andasse vorrebbero nazionalizzare… a spese nostre. Non solo senza esperienza, senza buon senso e soprattutto pudore.

Conte annuncia «un nuovo incontro a breve con i titolari» e paventa una «battaglia legale: un procedimento cautelare per ottenere dal Tribunale di Milano una verifica giudiziaria sulle loro e le nostre ragioni entro 7-10 giorni».

Comunque, come dicevamo, sono tanti, tantissimi i problemi: primo fra tutti quello legale e giudiziario legato alla sentenza sull’altoforno 2 che rischia lo spegnimento, un colpo insostenibile per un’azienda che già lavora a regime ridotto.

La soluzione all’italiana la propone il governatore della Puglia, Michele Emiliano, che in accordo con la Cgil, chiedono un impegno diretto dello Stato, anche con «una quota», come dice Maurizio Landini, per evitare la chiusura. Insomma se non proprio una nazionalizzazione, almeno una mancetta, anzi una bella manciata di milioni.

D’altro canto Arcelor-Mittal chiede di andarsene, senza onori ne gloria, ma lascia l’alternativa: continuare ma con la riduzione di 5000 unità.

La compagine governativa è più spaccata che mai: i Cinquestelle sono fermi sulla impossibilità di proroga dello scudo legale, ne andrebbe della loro faccia, mentre invece Italia Viva, spinge da matti per ripristinarlo subito questo scudo. Tra color che son sospesi i Dem.

Intanto si potrebbe provare a offrire ad Arcelor-Mittal meno confusione. Una controparte credibile con un verbo univoco. Magari la proposta di una una riduzione dei costi per completare l’acquisto del polo dell’acciaio (un maxi-sconto sull’affitto o una dilazione sostanziosa delle rate che Arcelor-Mittal ancora deve pagare).

Ma, signori, questa qui, purtroppo, è la politica ai tempi del protagonismo a tutti i costi, del tornaconto elettorale, dell’egoismo più bieco, dell’improvvisazione senza fantasia. La questione Ilva ci è costata 23 miliardi, l’1,35% del Pil.

La storia dell’Ilva di Taranto non può essere trattata come l’acquisto o la vendita di un maglioncino di cachemire. È una questione di interesse nazionale. Quest’impresa del profondo sud alimenta la manifattura, l’industria del bianco, della componentistica dell’automotive del produttivo nord. Grazie ai sussulti ed all’assenza di politiche serie, al nord Italia, lombardo e veneto, soprattutto, questa crisi è già costata 7,3 miliardi di euro (fonte Svimez).

Insomma una soluzione deve essere trovata. Ma in fretta ed in maniera meno costosa possibile. Una soluzione che arresti l’inquinamento che ha generato, nei decenni, oltre 36.500 decessi e che purtroppo non saranno gli ultimi. Una soluzione che preveda la bonifica delle vaste zone già individuate come fortemente inquinate. Una soluzione che preservi più posti di lavoro possibile, sacrificando però i veri esuberi.

L’Italiani la aspettano. I lavoratori, i malati, i parenti delle vittime, gli imprenditori dell’indotto e soprattutto quelli destinatari dei laminati non possono più attendere. Devono sapere cosa succederà. Il nord vuole sapere poi se continuare a comperare le bobine a Taranto o magari in Germania, in Polonia, in India o addirittura in Cina.

Basta giochini: una decisione ora per garantire il futuro agli abitanti di Taranto, ai lavoratori ed all’economia tutta del nostro Paese.

Lino Rialti

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