L’ESTRADIZIONE DI BATTISTI

Termina l’arroganza,
scema il soccorso rosso

 

Dopo trentasette anni di fughe per l’ex terrorista dei Nuclei Armati Proletari, condannato all’ergastolo per 4 omicidi, è giunto il momento di scontare la pena. Cesare Battisti è sbarcato lunedì a Ciampino alle 11.40. In un primo tempo la sua destinazione sembrava fosse il penitenziario romano di Rebibbia, ma invece è stato tradotto in Sardegna e rinchiuso nel carcere di Oristano.

Nel pomeriggio di sabato 12 gennaio era stato intercettato dagli agenti dell’Interpol e poi fermato dalla polizia boliviana, mentre passeggiava da solo per le strade di Santa Cruz della Sierra, la seconda città del Paese distante circa 800 chilometri dalla capitale La Paz.

Nel giro di poche ore è stato consegnato alle autorità italiane e imbarcato a bordo di un Falcon dell’aeronautica militare appositamente inviato dall’Italia. Il volo è partito direttamente da Santa Cruz diretto a Roma senza passare dal Brasile.

Sperando in una tappa dell’aereo a Brasilia, gli avvocati di Battisti avevano già presentato al ministro della Giustizia una richiesta di liberata provvisoria, che in ogni caso era stata respinta come inammissibile. Inoltre il trasferimento diretto in Italia fa sì che il pluriomicida debba scontare l’ergastolo, al quale è stato condannato due volte. Se fosse stato estradato dal Brasile, dove non esiste il carcere a vita, in forza degli accordi in essere fra i due Stati la pena sarebbe stata commutata in 30 anni di reclusione.

Ad attendere all’aeroporto il Falcon che ha riportato Battisti in Italia c’erano il ministro dell’Interno Matteo Salvini e quello della Giustizia, Alfonso Bonafede che non hanno nascosto la loro soddisfazione per la conclusione della vicenda e non hanno mancato di ringraziare il neo presidente brasiliano che ha sbloccato l’estradizione.

Prima ancora di essere eletto Jair Bolsonaro aveva manifestato l’intenzione di dare il via libera all’estradizione del terrorista rosso come gesto di amicizia verso il Paese di origine della sua famiglia e come «piccolo regalo» al governo giallo-verde. Così il 14 dicembre scorso, due settimana prima di lasciare il suo incarico, lo sbiadito presidente brasiliano uscente Michel Temer – subentrato nell’agosto 2016 a Dilma Rousseff, la deposta delfina dell’ultimo protettore di Battisti, il presidente Lula da Silva – l’aveva voluto anticipare, firmando lui il provvedimento di estrazione.

La soddisfazione di sapere Battisti finalmente in carcere, espressa dalla quasi totalità delle forze politiche e condivisa, riteniamo, dalla stragrande maggioranza degli italiani, riguarda in maniera particolare i familiari delle vittime.

A rendere così vivo il desiderio di giustizia per i delitti del terrorista dei Nuclei Armati per il Proletariato sono stati a mio avviso due specifici fattori: l’arroganza dell’uomo e il soccorso rosso che lo ha protetto per tutti questi anni.

L’arroganza di Battisti. L’ex leader dei Pac non soltanto non si è mai mostrato «pentito» delle sue azioni (una parola che non mi piace e che non ritengo indispensabile) ma soprattutto a decenni di distanza dal clima durante il quale i suoi delitti sono maturati, non ha mai avuto una parola di rincrescimento verso i famigliari delle sue vittime, sostanzialmente «casuali». Nel corso degli anni ha mantenuto sempre un atteggiamento sprezzante verso tutti, dai famigliari delle persone uccide ai magistrati, dai politici ai giornalisti. L’ultimo giudizio sprezzante Battisti l’aveva rivolto proprio a Bolsonaro al quale aveva dato del «buffone» per aver annunciato intenzione – a suo avviso inattuabile – di permettere l’estradizione. Ma è una fotografia, scattatagli tempo fa da un giornalista italiano che lo aveva raggiunto in Brasile, ad illustrare meglio di cento parole, la personalità dell’uomo. Nell’immagine il terrorista rosso, con il suo sorriso beffardo sul volto, alza un bicchiere di vino per brindare verso la macchina fotografica, ma l’impressione che se ne ricava è quella del braccio alzato nel «gesto dell’ombrello» rivolto a tutto il popolo italiano.

ll soccorso rosso. Il secondo fattore a tenere viva la voglia e l’attesa di giustizia verso i crimini dell’ex leader dei Pac, sono le protezioni internazionali dei quali ha goduto per tutti questi anni. Sono inaccettabili soprattutto quelle della sinistra francese che l’ha deliberatamente sottratto alla Giustizia italiana, la cui credibilità non può essere certo sconosciuta ai cugini d’oltralpe. Diversa la situazione del Brasile di Lula, al quale i salotti della sinistra radical chic parigina, nell’affidargli la «tutela» del loro beniamino, lo hanno spacciato per perseguitato politico di un inesistente regime dittatoriale italiano.

A proposito di sinistra, anche italiana, merita una riflessione quanto ha scritto ieri Gianni Riotta in uno dei quasi mille twitter seguiti all’estradizione dell’ex terrorista rosso: «La verità su Cesare #Battisti è che se si fosse costituito 25 anni fa, sarebbe presto uscito di galera e ora condurrebbe festival letterari e avrebbe un talk show tv, osannato da tanti, come hanno fatto certi suoi compagni di allora».

Vincenzo Fratta

 

Nella foto di copertina: Battisti, appena arrestato, negli uffici della polizia colombiana. In alto l’ex terrorista rosso con l’Interpol prima della partenza per l’Italia. Sopra, in un’eloquente scatto, un Cesare Battisti, ancora tranquillo nel suo rifugio brasiliano, guarda l’obiettivo per brindare alla «salute» della giustizia italiana. 

 

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