IL GOVERNO DRAGHI VERSO LA FIDUCIA

I mal di pancia a sinistra,
le scelte di Salvini e Meloni

Il Governo Draghi verso la fiducia in Parlamento

 

Il Governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi si appresta a ricevere la fiducia del Parlamento, mercoledì al Senato e giovedì alla Camera.

Il Governo Draghi verso la fiducia in ParlamentoVolendo a tutti i costi evitare le urne, il Presidente Sergio Mattarella, di fronte al naufragio del Conte II, non poteva che giocare la carta di affidare il Governo all’ex presidente della Bce.

Intorno a Mario Draghi ha dunque preso vita un esecutivo di 23 ministri composto da 8 tecnici e 15 politici. Riceverà la fiducia dalla maggioranza parlamentare più larga di sempre, abbracciando uno schieramento che va dalla Lega a Liberi e Uguali, passando per Forza Italia, Italia Viva e Partito Democratico.

Il compito di presidiare i banchi dell’opposizione se lo è assunto Fratelli d’Italia. Ma nel No a Draghi è molto probabile che si uniranno anche una ventina di Cinque Stelle scontenti della scelta operata dal partito di Grillo e qualche esponente di Leu.

La squadra di Governo

Governo Draghi. Il giuramento di Giancarlo GiorgettiPer quanto riguarda i politici entrati nel Governo, apparentemente il premier si è attenuto ai dettami del sempre attuale manuale Cencelli, attribuendo 4 ministri al M5S, 3 ciascuno a Lega, Pd e Fi, e uno a Iv e Leu.

In pratica però sul lato sinistro dello schieramento si è mantenuta un’eccessiva continuità con il precedente esecutivo, mentre sul versante destro sono stati scelti esponenti delle componenti più «moderate» sia della Lega sia di Fi.

Pesano in particolare le riconferme del «tecnico» Luciana Lamorgese al ministero dell’Interno, poco incisiva nel contrasto all’immigrazione clandestina e prona ai desiderata delle sinistre, e del pentastellato Luigi Di Maio, che al di là dei congiuntivi sbagliati non è stato all’altezza dell’importante dicastero affidatogli. Non a caso Mario Draghi ha provveduto già lunedì a nominare un suo «consulente diplomatico».

I ministri tecnici, ovviamente di assoluta fiducia del premier, presidieranno tutti i dicasteri incaricati di gestire i fondi del Recovery Fund che arriveranno dall‘Unione Europea.

La Lega potrà seguire le problematiche dei ceti produttivi del Nord, con Giancarlo Giorgetti al ministero dello Sviluppo Produttivo e Massimo Garavaglia al ministero del Turismo, al quale verrà assegnato il Portafoglio.

Il Pd con Andrea Orlando si occuperà delle tematiche del Lavoro e il riconfermato Dario Franceschini delle politiche e delle istituzioni culturali.

Renato Brunetta di Fi torna alla Pubblica Amministrazione e Roberto Speranza di Leu, mantiene la delicata gestione della Sanità con l’epidemia di Covid non ancora debellata.

I contraccolpi a sinistra

Contrario al Sì al Governo Draghi Alessandro Di Battista lascia i Cinque Stelle

I vertici dei Cinque Stelle, che nei mesi scorsi pur di restare al Governo avevano progressivamente rinunciato a tutti i cavalli di battaglia del Movimento, hanno subito abbracciato Draghi, pensando di «tenere buoni» i militanti con la «finzione» della primogenitura del costituendo ministero per la Transizione Ecologica.

Non è bastato. Nella consultazione sulla piattaforma Rousseau, nonostante il giorno di ritardo per consentire l’endorsement di Beppe Grillo e il quesito ingannevole, i favorevoli al Governo non sono andati oltre il 60%. Il partito è pertanto spaccato e la situazione interna in evoluzione. Alessandro Di Battista ha lasciato il Movimento e diversi parlamentari non voteranno la fiducia.

Una bella grana è scoppiata anche nel Pd, che già aveva dovuto ingoiare il rospo della caduta di Conte e del varo del Governo istituzionale a fianco degli odiati leghisti. Si tratta della dura presa di posizione delle donne del partito che denunciano la totale assenza della componente femminile tra i ministri Pd, a fronte peraltro delle ministre Mariastella Gelmini e Mara Cartagena (Fi), Erika Stefani (Lega), Elena Bonetti (Iv) e Fabiana Dadone (M5S).

Le scelte di Salvini e Meloni

Le scelte diverse verso il Governo Draghi di Giorgia Meloni e Matteo SalviniA mio avviso sono da condividere entrambe le scelte effettuare da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La leader di Fratelli d’Italia, che della coerenza ha fatto uno dei suoi punti di forza, mantiene il proposito di non partecipare a governi con Pd e M5S. Unico partito ufficialmente all’opposizione Fdi dovrebbe assumere la guida delle principali Commissioni parlamentari di garanzia e, soprattutto, drenare consensi in caso di «fallimento» del Governo istituzionale.

La maturità e la coesione dei suoi tre leader, nonché il precedente della Lega nel Conte I, fanno ritenere che l’unità del Centrodestra non corra pericoli di contraccolpi nei governi regionali o nelle prossime competizioni amministrative.

L’entrata di Salvini nell’Esecutivo istituzionale evita la riproposizione di un Governo di sinistra, per di più nobilitato dalla guida di un uomo capace. Mette in difficoltà il Pd e Leu, accelera la disgregazione dei Cinque Stelle.

La coabitazione imporrà a Salvini di affinare e calibrare meglio le parole d’ordine da lanciare, rinunciare ai blitz in favore di una guerra di posizione che nel medio-lungo termine potrebbe dare i suoi frutti.

Sovranismo Europeo

Il tema del rapporto con l’Unione europea va ben oltre le polemiche spicciole tanto care a Zingaretti e merita un approfondimento che non può essere svolto qui e sul quale torneremo.

Basterà osservare che la Lega rimproverava all’Europa sostanzialmente due cose:

– L’inadeguatezza dell’Euro unita alla politica monetaria punitiva.

– Il tentativo di scaricare sulla sola Italia l’enorme flusso migratorio proveniente dall’Africa.

Sul primo punto l’atteggiamento fermo di Salvini, anche se indigesto alla Chiesa e strumentalizzato dalla sinistra politica e giudiziaria, ha avviato il problema a soluzione. Il Re è nudo. Ora tutti in Europa hanno preso atto che la questione dei flussi migratori è problema europeo e non solo italiano.

L’arrivo di Ursula von der Leyen e la spinta della pandemia stanno facendo maturare anche l’altro corno del problema. La moneta unica non può reggere senza una reale integrazione politica dell’Europa. Non siamo ancora ad uno Stato federale ma la decisione, impensabile con la precedente Commissione europea, di emettere obbligazioni europee per 750 miliardi di Euro, è un decisivo passo in avanti.

«L’Europa non è ancora uno Stato pienamente federale e non ha ancora l’esercito auspicato dal presidente francese – ha scritto Sergio Romano sul Corriere della Sera –, ma esiste finalmente un Tesoro europeo e, con il denaro, una cosa che ancora qualche mese fa non esisteva: una sovranità europea».

Non sappiamo quanta consapevolezza il leader della Lega abbia di ciò, ma possiamo affermare che il cambiamento maturato dall’Europa è ben più sostanzioso di quello di Matteo Salvini.

Vincenzo Fratta

 

l’ADDIO A CONTE E L’ABBRACCIO A DRAGHI

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