L’iscrizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e di tre ministri nel registro delle notizie di reato per il caso Almasri è stato rubricato frettolosamente dalla rappresentanza dei Magistrati come un atto dovuto. Diversi e autorevoli sono stati in dubbi in proposito, come le perplessità espresse dall’Unione Camere penali che ha richiamando la riforma Cartabia e le direttive della Procura di Roma.
Al video-denuncia di Giorgia Meloni, l’Anm ha specificato che la notifica ricevuta dalla Premier era una comunicazione dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato, non un avviso di garanzia.
Tale comunicazione è avvenuta, si legge nel comunicato, ai sensi dell’art. 6 comma 1 della legge costituzionale n. 1/89, mentre in realtà è avvenuta ai sensi del comma 2, che recita: «Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati».
Tale atto viene qualificato dall’Anm esplicitamente come «dovuto».
Atto deliberato, non automatismo
In realtà, data la pregiudizialità di tale iscrizione, foriera di conseguenze negative per gli iscritti, in termini soprattutto di immagine, c’è un margine di discrezionalità dei Procuratori incaricati.
Tale margine risulta tanto più evidente con riguardo alla riforma Cartabia dell’art. 335 del Codice di proceduta penale che ha aggiunto significativamente all’onere di iscrivere immediatamente ogni notizia che perviene all’ufficio «contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto. 1-bis.
Il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico».
Queste direttive erano state espresse già nella circolare della Procura della Repubblica di Roma firmata da Giuseppe Pignatone nel 2017: si specifica che la registrazione nel modello 21, quello delle notizie di reato contro noti, può essere compiuta solo quando emergano elementi indizianti verso un particolare soggetto, con indicazione delle fonti di prova (Cassazione a Sezioni Unite n.16/2000), da escludere in caso di meri sospetti.
In tutti gli altri casi si procederà all’iscrizione nel registri 44 o 45: contro ignoti o nel registro di notizie non costituenti reato.
Una contrapposizione politica
Si identificano poi delle conseguenze negative riscontrabili ipso facto dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato, al di là della propalazione delle stesse anche per finalità di contrapposizione politica.
Viene infine confermata la prassi di iscrivere nel modulo 44 i reati attribuibili ad un’Amministrazione o ad una società in cui le responsabilità possono venire in essere solo in caso di organicità minimale, evitando di indagare in automatico posizioni apicali, e anche per le ipotesi in cui il soggetto non sia completamente ignoto, ma sia difficile stabilire quale sia la causa scatenante l’evento.
Più specificamente viene ribadito che bisogna «escludere che l’iscrizione di un nominativo rappresenti un atto dovuto con riferimento al soggetto cui il privato attribuisce il reato nella denuncia. Tale errata conclusione, che talora si riscontra nella prassi, è frutto di una interpretazione impropria dell’art. 335 Cpp (prima della riforma).
Siffatta lettura meccanica della previsione normativa contrasta con le indicazioni della corte di Cassazione e ancor più con il sistema, in quanto finisce per attribuire impropriamente, addirittura al privato denunciante, il potere di disporre in ordine alle iscrizioni a mod. 21».
Viene quindi ribadita l’esclusione di qualsiasi visione deresponsabilizzante l’Ufficio della Procura.
Questa ricostruzione cozza fortemente con la giustificazione dell’«atto dovuto», come si evince anche da diversi approfondimenti giuridici (anche di riviste schierate a sinistra) che contraddicono le prese di posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Si rimanda a questo approfondimento e si riportano le parole della vicepresidente dal sito dell’Anm: «Vicepresidente Maddalena, l’Anm è ormai in scadenza, si vota in queste ore: eppure sul caso Almasri avete firmato una nota dura contro Meloni.
Perché? «Perché si è detto che la liberazione del generale Almasri indagato per atroci crimini era stata disposta dalla magistratura, omettendo di dire che i giudici erano stati costretti a farlo per l’inerzia del ministro della Giustizia, che è l’unico titolato, come è evidenziato nel provvedimento della Corte di Appello di Roma, ad attivare la procedura per l’applicazione di una misura coercitiva».
Scaricano su di voi le colpe? «Sono state addebitate ai magistrati scelte e responsabilità, sul caso Almasri, che non possono in alcun modo essere attribuite agli uffici della Corte d’Appello. Quindi, ci siamo limitati a spiegare come realmente stessero i fatti».
Una volta per tutte: chi mente? «Noi ristabiliamo ciò che detta la legge. Ad altri le valutazioni politiche. Com’è spiegato nel provvedimento dei giudici, il ministro Nordio era informato: solo lui poteva, e doveva, in quel caso agire per dare seguito alla richiesta della Corte Penale internazionale.
Non essendo stato fatto, i magistrati non potevano fare altro che disporre la liberazione»
Come visto viene ripresa l’ordinanza senza valutarne le intrinseche contraddizioni con la legge e i richiami del verbale di arresto.
Indagati senza responsabilità
Sul registro degli indagati sono finiti tra gli altri il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Alla luce degli approfondimenti che hanno interessato proprio l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma, si potrebbe dedurre che non si rinviene una specifica condotta del Ministro Nordio da cui risulti una responsabilità in ordine alla scarcerazione e alla misura cautelare, ai fini della consegna alla Corte Penale Internazionale.
Sembrano esserci sullo stesso più sospetti riguardo una presunta condotta omissiva («inerzia»), quando, in realtà, dalla legge, non viene mai specificato un termine per la trasmissione degli atti, né si deduce che questa sia conditio sine qua non per la misura cautelare disposta su richiesta del PG.
Un suo reale e giustificato coinvolgimento c’è solamente per l’esecuzione della materiale consegna alla Corte di cui è referente. È solo quest’ultima infatti che deve avvenire in tempi rapidi (art. 2 Legge 237/2012). Non esiste un onere di trasmissione «immediata» come si evincerebbe dai commenti e approfondimenti giornalistici.
Sembrerebbe quindi difficile individuare una specifica condotta, anche omissiva, del Ministro della Giustizia, tale da condurre ad una scarcerazione disposta dalla Corte d’Appello di Roma. La sua iscrizione nel registro 21 degli indagati appare ingiustificata.
Ciò al di là delle misure che vorrà intraprendere la Corte Penale Internazionale.
Ancor di più la Premier Meloni che sembra inserita nel registro solo per la sua posizione apicale e non è nemmeno coinvolta nella relazione con la Corte ai sensi della Legge 237/2012.
Facendo riferimento alla comunicazione della Procura di Roma (vedi) a lei inviata si può notare come l’iscrizione sia proprio quella nel registro 21, che sembra in contraddizione con le garanzie individuate nella Circolare e nella riforma della legge in linea con la giurisprudenza di legittimità.
La questione è tanto più spinosa non solo per l’evidente strumentalizzazione politica, ma anche per una linea di faglia sempre più netta, e da scongiurare, con la pericolosa continuità ideologica della magistratura con l’opposizione al presente Governo.
Questa caratterizzazione sta quindi diventando sempre più un cliché capace di abbassare il livello istituzionale sia del potere esecutivo che di quello giudiziario, nonché del necessario dibattito democratico su certi temi.
Armando Mantuano *avvocato