Adesso lo ripetono un po’ tutti, specialmente a sinistra: le Regionali in Abruzzo di domenica prossima sono un test di portata nazionale. Dopo che in Sardegna è andata come è andata, una seconda sconfitta del centrodestra assumerebbe un significato assai maggiore. Dando nuova linfa, nuovo slancio, nuovi argomenti e nuove attrattive, all’ultimo mantra delle opposizioni: Meloni & C. si possono battere.
Non soltanto in ambito locale ma anche, appunto, su scala nazionale. E pazienza se le prossime Politiche sono previste solo per il 2027 e nel frattempo bisogna accontentarsi delle Europee del giugno prossimo.
I motivi di queste speranze sono diversi, ma quello principale è un calcolo elementare. O grossolano.
L’idea, non esattamente inedita, è una coalizione a maglie larghissime. Si mettono insieme tutti i partiti che sono ostili al centrodestra e così, oplà, si riconquista la maggioranza. Sorvolando su ogni altro fattore di contrasto. Di dissidio. Di programma o di carattere. Schlein e Conte, per esempio. O Conte e Calenda. Eccetera.
Caccia grossa agli ingenui
Un classico: intanto vinciamo, poi si vedrà. Intanto sediamoci – torniamo a sederci – alla tavola del potere in cui si spartiscono soldi pubblici e privilegi assortiti. Poi riprenderemo a discutere e a litigare come al solito.
Più che un’alleanza, un’accozzaglia. Nessuna grande intuizione politica, ma una banale constatazione aritmetica. Facilissima sulla carta. Molto meno nella realtà.
Soprattutto quando non si tratti di amministrare soltanto uno specifico territorio, dove certi temi e certi contrasti di carattere generale possono essere messi da parte o lasciati sullo sfondo, ma di guidare lo Stato nel suo insieme. Con ben altre implicazioni, sia valoriali che concrete. Sia nella gestione interna che nel posizionamento internazionale.
Ma tant’è. Si scommette sulla volubilità dell’elettorato. Sul recupero di frange anche piccole, ma potenzialmente decisive, dell’enorme massa degli astenuti. Sulla scarsa memoria di chi abbocca sistematicamente alla messinscena dei nuovi inizi.
Wow. Il Pd sta risorgendo dalle sue ceneri e si erge a difesa dei ceti popolari. Il M5S di Conte non è neanche l’ombra di quello magnificato da Grillo & Casaleggio ma quando era al governo ha portato il Reddito di Cittadinanza. E di sicuro non è di destra.
I pifferai progressisti ci provano. I precedenti, purtroppo, li autorizzano a sperare che funzioni anche stavolta.
La lezione da imparare
Vada come vada, in Abruzzo, il Centrodestra dovrebbe farne tesoro. Stando bene attento ad andare al di là dell’esito in quanto tale e a proiettarsi verso il futuro.
Ovvio: noi ci auguriamo che Marco Marsilio venga riconfermato nella sua carica di governatore, con una vittoria che di riflesso si estenderebbe in primis a Giorgia Meloni, ma l’eventuale successo non deve indurre nessuno a gloriarsene eccessivamente.
Né tantomeno – ed è questo l’aspetto cruciale – a illudersi che la supremazia acquisita in un dato momento sia destinata a rimanere tale a tempo indeterminato. O addirittura per sempre.
Lo scontro con gli avversari diventa palese nelle campagne elettorali, ma in effetti comincia ben prima. Anzi: non comincia, ma si costruisce. Giorno per giorno. In ogni singolo atto compiuto, ivi inclusi le dichiarazioni e i comportamenti.
Il verdetto delle urne è l’epilogo. Ma di un processo enormemente più ampio. E se è vero che spesso il risultato finale può essere influenzato da circostanze, e suggestioni, che sopravvengono a ridosso del voto, è ancora più vero che l’antidoto ottimale alle oscillazioni dell’ultimo minuto è nella validità del proprio operato precedente. Ossia nella robustezza della propria credibilità agli occhi degli elettori.
In linea di principio è probabile che chiunque dei politici di professione si direbbe d’accordo. Però non basta.
Le singole partite puoi anche vincerle per caso o all’ultimo minuto. I campionati no. Quelli te li aggiudichi solo se ti impegni di continuo a essere migliore di chiunque altro.
Gerardo Valentini