IL BULLO E IL MINISTRO

«Non c’ho capito na sega»,
parola di Matteo Renzi

Un Matteo Renzi scatenato alla Camera fa il verso ad Alessandro Giuli nel tentativo di provocarlo. In realtà il punto dolente per la sinistra è la fine del monopolio sulle nomine del Ministero della Cultura.

 

Sinceramente si credeva di dover misurare l’attività istituzionale sugli obiettivi, sui mezzi impiegati, e, infine, sui risultati raggiunti. Per Alessandro Giuli, invece, sembra che gli esami non finiscano mai.

Il suo discorso di apertura alla Camera dei Deputati è stato preso di mira per il percepito stile ermetico, neanche si fosse in presenza di Carmelo Bene, che, al contrario del neo ministro della Cultura, avrebbe rintuzzato la platea che si beava, vocabolario alla mano, di «non averci capito na sega» (cit. «Amici Miei», ossia il riferimento culturale citato da Renzi).

Il discorso di Alessandro Giuli

Il neo ministro della Cultura Alessandro GiuliEcco il passaggio del discorso programmatico del ministro che è stato accusato di ermetismo: «Il movimento delle cose è così vorticoso, improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni, che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone delle ultime generazioni ha cominciato a mutare con esso.

Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli dell’ipertecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro».

Francamente imbarazzante per qualsiasi politico palesarsi incapace di comprendere questo testo, dallo stile forse desueto, ma orientato a riproporre una dicotomia reale e concreta, che si palesa sempre più spesso di fronte alle sfide contemporanee.

Il tema peraltro non è banale, né le succitate implicazioni di un fenomeno (la pervasività dell’Intelligenza Artificiale), capace di plasmare il paradigma antropologico contemporaneo.

Di fronte alle sfide anche sociali (e lavorative, «famiglie di operai licenziati dai robot», cit. Umberto Tozzi, «Gli altri siamo noi»), l’opposizione si è data di gomito ed è passata al motteggio becero e anche offensivo.

Il confronto con Matteo Renzi

I protagonisti di 'Amici Miei'Da Tommaso Montanari a Matteo Renzi si è cercato di far scadere la dialettica con la famosa allusione dello «scappellamento a destra», l’unica certezza su cui confrontarsi, quasi un lapsus freudiano: il riposizionamento in una postura (sinistra/destra), ormai priva e privata di contenuti.

Il question time su obiezioni di routine riguardo le nomine, ossia l’interesse principale della sinistra, da sempre votata ad occupare il potere politico, al di là del processo democratico, è stato abilmente usato da Matteo Renzi per provocare il neo Ministro, facendogli letteralmente «il verso» riprendendo il suo precedente discorso. Un comportamento da «bullo» (epiteto sdoganato in un giudizio di diffamazione intentato da Renzi ad un giornale) dell’Aula del Parlamento che «bastona» il nuovo arrivato.

La reazione scomposta del Ministro della Cultura era ciò che serviva a Matteo Renzi per il suo affondo: «vedo che sta tremando» (si, certamente, dalla rabbia… ah, quando esisteva il duello riparatore), «si ma io mi sono laureato prima di te».

A coronamento sarebbe stato significativo richiamare il «grande capo Estiqaatsi», celebre sketch del duo comico Lillo e Greg che così stigmatizzava le notizie irrilevanti.

Un linguaggio da social

Renzi ha così raggiunto il suo obiettivo, primo esemplare di politico da social (poi surclassato in ciò dall’altro Matteo, Salvini), ha dato la pastoia ai suoi follower, in brodo di giuggiole per la sua performance mediaticamente re-postabile.

Per nemesi, sono nate riproposizioni del discorso del Ministro create proprio con l’intelligenza artificiale, una satira seriale stucchevole che, per riprendere le parole di Giuli, rappresenta le «passioni tristi» artificiosamente stimolate.

Viene spesso citato questo aforisma: «non discutere con un idiota, ti porta al suo livello e ti batte con l’esperienza». Certamente Renzi non è un idiota e, al contrario di Giuli, ha moltissima esperienza.

Il Parlamento, poi, è certamente un’arena, ma il livello viene costantemente abbassato: c’è un populismo bipartisan che si compiace della propria grossolanità. Ovviamente ci sono le eccezioni.

Il pensiero complesso

Tuttavia prevale la mentalità da curva, la battuta che prima si ostentava al bancone del bar, ora a quello parlamentare.  Eppure il Parlamento più che un’arena dovrebbe essere una palestra, di democrazia. Sviluppare il pensiero critico, questo potrebbe essere visto come compito di un Ministro della Cultura: i musei, i «beni culturali», di cui noi abbondiamo, sono solo strumenti atti allo scopo. Le premesse di ciò, nel Ministro Giuli, sono state individuate.

La povertà lessicale porta, invece, l’incapacità di esprimere le proprie emozioni, delineare i propri interessi, rivendicare i propri diritti, conduce all’impossibilità di un confronto costruttivo, che si basi sulle sfumature, porta a farci adeguare all’opinione della maggioranza a cui non sappiamo opporre un ragionamento articolato, critico, complesso, riducendo tutto a slogan.

In questo contesto, l’appiattimento dovuto all’uso dei social, non fa che portare ad una maggiore polarizzazione, perché la logica del branco (la sinistra deve avere l’egemonia culturale), è l’unica a garantirmi la sopravvivenza tra le diverse parole.

Ecco, magari, aver imparato la parola «ontologia», oppure l’«apocalittismo», processo mentale non troppo alieno rispetto a tante accelerazioni green, ora accantonate in quanto insostenibili di fronte alle nuove priorità (la perdita del primato economico e tecnologico), non sembra proprio un pessimo servizio alla democrazia.

Armando Mantuano

 

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