CECILIA SALA È A CASA

Un successo italiano
in uno scenario complesso

Cecilia Sala scende dall'aereo che l'ha riportata in Italia

 

La giornalista italiana Cecilia Sala è stata liberata ed è tornata finalmente a casa. La sua tempestiva liberazione è un grande successo del «sistema Italia» e dell’autorevolezza in campo internazionale della premier Giorgia Meloni.

L'abbraccio della giornalista italiana con i genitoriIl pragmatismo paga, la capacità italiana di passare da Trump a l’Iran ha qualcosa di incredibile. Anche le polemiche su Elon Musk e quelle sulla commessa degli Starlink — in verità vantaggiosissima per noi sia in termini sia di qualità che di prezzo —, lasciano il passo di fronte al difficile obiettivo raggiunto.

Difficoltà del traguardo raggiunto in una scala da 1 a 100, 80, per i nostri Servizi. Anche se le dimissioni ai vertici di questi lasciavano presagire il peggio, quantomeno quale retrospettiva consapevolezza di errori compiuti.

Effettivamente c’era chi parlava di mancato coordinamento tra il Ministero e i primi nel periodo tra il caso Abedini e quello Sala il cui legame (qui) è parso a tutti evidente, seppur contestato in ultimo dall’Iran, prima della liberazione.

Giorgia Meloni a Mar a Lago

Il saluto tra Cecilia Sala e la premier Giorgia Meloni

La presidente del Consiglio era volata a Mar a Lago per incontrare il presidente eletto, poco prima delle stravaganti uscite di Donald Trump su Groenlandia, Panama e Canada che palesano un imperialismo economico spinto, ma non avulso dalla politica Usa.

Ma non in tempo per evitare di dover assistere, insieme al presidente e al suo entourage, all’anteprima di The Eastman dilemma, un documentario sulla distorsione politica del sistema legale e giudiziario, bollato frettolosamente come complottista dai media italiani mainstream.

Per rendere il lettore più consapevole di ciò che è avvenuto negli Stati Uniti, si può far riferimento alla legge introdotta nel 2022: l’Electoral Count Reform and Presidential Transition Improvement Act che ha modificato il ruolo del vicepresidente che ora non ha più la facoltà di «determinare, accettare, rigettare o aggiudicare, né risolvere le dispute inerenti le liste di elettori, la validità degli elettori o i voti degli elettori».

Tale possibilità era stata espressa proprio dal giurista Eastman dell’entourage di Trump. Si ricordino le pressioni di quest’ultimo su Mike Pence nel 2020.

Senza entrare nel merito della tornata elettorale del 2020, considerando però il periodo Covid19, foriero di tante eccezioni, l’uso massiccio dei voti per corrispondenza e un sistema di garanzia forse non sempre all’altezza, nonché la volontà sempre più marcata di fare fuori con tutti i mezzi il rivale repubblicano, si precisa che questa legge del 2022 ha modificato anche il quorum per contestare le votazioni: prima era necessaria solo una presenza alla Camera e una al Senato, ora servono 1/5 dei membri in ognuno dei due rami (85 nella Camera e 20 nel Senato).

Questo irrigidimento nella politica interna avviene nel momento in cui il 7 gennaio Joe Biden ha ricevuto Edmundo González Urrutia, qualificandolo come Presidente eletto del Venezuela, nonostante i risultati elettorali a lui sfavorevoli.

Può sembrare qualcosa di avulso dal caso Cecilia Sala/Abedini, ma non lo è.

La marcia indietro dell’Iran sui due casi

L’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, 38enne, accusato dagli Stati Uniti di aver violato l’International Emergency Economic Power Act e di aver fornito supporto a un’organizzazione terroristica straniera.

Con la liberazione di Cecilia Sala l’Iran si è affrettato a dimostrare il dichiarato scollegamento tra i casi Sala e Abedini precedentemente affermato.

Una più attenta riflessione, forse, ha portato a ponderare le mosse nel perimetro della legalità e della diplomazia, magari ritenendo anche questo un terreno di iniziativa politica.

Il diritto internazionale si muove attraverso attori istituzionali e non, considerando che la superiorità bellica non può garantire l’immunità, come dimostrano le misure investigative di una Corte Brasiliana verso un soldato israeliano accusato di crimini di guerra, che per sfuggire all’arresto ha riparato fuori dal Brasile, forse nell’Argentina del Presidente Milei.

La mossa iraniana, apparentemente contraddittoria, dimostra forse anche che il sistema dei poteri in Iran è stratificato e non certo monocromo, a cerchi concentrici, in cui si misurano voci e personalità diverse, in un’appartenenza comune.

Un quadro che non vogliamo vedere e che forse disturba la nostra visuale purtroppo telescopica perché parte da una prospettiva sempre più occidentalista.

Il contesto internazionale

Se non riusciamo a capire nemmeno le uscite del Papa, abbiamo seri problemi a decifrare il contesto internazionale.

Da incorniciare, infatti, come istantanea di un’epoca, e di una civiltà in declino, le parole dell’editoriale di Giuliano Ferrara dopo i commenti di Papa Francesco su Netanyahu.

Oltre ad attribuire al Papa ciò che non ha detto, si osservino termini come «tanfo pastorale delle pecore» o «feticcio del popolo»,  ossia riferiti alla teologia popolare di Bergoglio che tanto ha in comune proprio con la storia del popolo d’Israele.

Ebbene, qui bisogna fare delle precisazioni. La democrazia è l’antidoto alla guerra civile. Quando, invece, il voto espresso, o le manifestazioni di protesta, sono utilizzate come clava per spezzare un paese in due, non si vuole diffondere la democrazia, ma utilizzare il pretesto democratico per estendere la propria egemonia politica.

Gli esempi sono molteplici, uno su tutti, la Georgia. Non si accetta il risultato elettorale, anzi, attraverso un presidente non più eletto — per inciso ex ambasciatrice di Francia a Tbilisi e alunna di Zbigniew Brzezinski —, si fomentano manifestazioni per rovesciare il governo appena eletto.

Tutto ciò nonostante l’Ocse non parli di brogli, ma di ampia libertà di scelta (e condizioni ineguali, circostanza emersa però anche in Moldavia) e che addirittura la Corte Costituzionale della Georgia abbia respinto il ricorso della (ex) Presidente Salome Zourabichvili, e dai partiti di opposizione, per dichiarare incostituzionali le elezioni del 26 ottobre.

Evidentemente solo attraverso un riformismo interno l’Iran potrebbe evidenziare questi doppi standard e le contraddizioni di un occidente sempre più autoreferenziale.

Altro esempio: a chi scrive, è risultato di non poco momento apprendere, proprio nei giorni delle detenzione della Sala con accuse generiche, della liberazione, il 7 gennaio, di 11 detenuti yemeniti dal carcere di Guantánamo, lì da circa vent’anni e senza alcuna formale accusa, per un trasferimento in Oman.

I 20 giorni di Cecilia Sala confrontati con 20 anni e più — Guantanamo ha ospitato nel tempo 780 detenuti 15 dei quali sono ancora —, fa impressione. Inoltre, la finalità di raccolta di informazioni fuori da un quadro giudiziario e legale, con sparizioni forzate e uso della tortura, secondo alcuni rapporti, non può che rapportarsi al caso Abedini.

Le sfide che il futuro ci riserva

Anche il quotidiano Il Foglio, in un articolo di Micol Flammini del 9 gennaio, ammette la rilevanza strategico politica dell’estradizione di Abedini negli Usa, per via delle informazioni sui sistemi tecnologici di navigazione avanzati nella dronistica iraniana.

Sempre per inquadrare il caso Abedini in un contesto obiettivo, la circostanza che Biden abbia commutato la pena di morte a 37 detenuti escludendo quelli condannati per terrorismo — l’accusa mossa ad Abedini — non sembra secondario.

Rimane, certo, il successo italiano nella liberazione della Sala, ma le sfide, per ora solo abbozzate, da questo delicato passaggio dei poteri negli Usa, ci coinvolgono e ci coinvolgeranno sempre più da vicino.

Per una maggiore stabilità della politica internazionale ci vorrà l’espressione massima della nostra capacità di mediazione e soprattutto una ritrovata credibilità, figlia di un’ambita equidistanza, difficile forse da raggiungere a causa dei sistemi di potere cui siamo soggetti.

Armando Mantuano

Lascia un commento