ANCORA SUL CASO ALMASRI

La ricostruzione dei Ministri nell’Aula di Montecitorio

I titolari della Giustizia Carlo Nordio e degli Interni Matteo Piantedosi hanno fornito al Parlamento l’informativa sul caso Almasri, attesa dalle opposizioni impazienti di inscenare una sceneggiata contro il Governo.

 

I titolari della Giustizia Carlo Nordio e degli Interni Matteo Piantedosi hanno fornito al Parlamento l’informativa sul caso Almasri, attesa dalle opposizioni impazienti di inscenare una sceneggiata contro il Governo.

La vicenda è stata ricostruita tenendo presente la futura difesa che gli esponenti del Governo indagati dovranno sostenere di fronte al Tribunale dei Ministri. Tuttavia quanto riportato dal Ministro Nordio, suscita una riflessione ulteriore, perché riguarda proprio l’interpretazione dell’ormai famigerata Legge 237/2012.

I procedimenti della Cpi

Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante l'intervento in Parlamento sul caso Almasri Secondo molti addetti ai lavori, tra cui la Corte d’Appello di Roma che ha rilasciato l’accusato di crimini internazionali, per procedere all’arresto di Almasri occorreva necessariamente che il Ministro della Giustizia trasmettesse al Procuratore il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale (Cpi).

Secondo il Ministro tale passaggio si rendeva necessario per poter egli sindacare, in prima battuta, sulla legittimità del mandato, dovendo considerare che avrebbe potuto anche configurare un suo potere discrezionale politico, rivestendo egli un ruolo esecutivo.

A questa conclusione logica eravamo approdati nel precedente contributo, ragionando sul ruolo del Ministro della giustizia secondo la L 237/12. Si evidenziava, al contrario, l’irragionevolezza di questo esito, e ci si esprimeva per la regolarità dell’arresto, avvenuto ex art. 11 237/12 e art. 59 dello Statuto di Roma, ma ricostruito dai Giudici come avvenuto ex art. 716 del Codice proceduta penale.

Sia l’art. 59 dello Statuto di Roma che l’art. 716 cpp confermano la legittimità dell’arresto, possibilità invocata unanimemente anche da correnti di sinistra della magistratura (qui un altro e più recente contributo della rivista di Area Democratica Giustizia Insieme).

Nell’articolo cercavamo di argomentare anche che la procedura cautelare disciplinata dall’art. 11 L 237/12 non poteva essere condizionata da interventi, ab externo, del potere esecutivo, non giustificabili senza un potere di veto, ma era da considerarsi, come normale, interamente giurisdizionalizzata.

In definitiva, non era necessario che la trasmissione degli atti al Procuratore avvenisse per opera del solo Ministro, dovendosi segnalare che il suo intervento di raccordo esclusivo, a norma dell’art. 2 della stessa legge, si sarebbe invece reso giustificato nella fase esecutiva della consegna.

Non a caso la difesa delle opposizioni è stata: no, dovevi trasmetterla, e no, non avevi discrezionalità. Se così fosse il Ministro sarebbe veramente un semplice passacarte. Il suo ruolo non sarebbe giustificato e per di più il suo coinvolgimento ingolferebbe in maniera irragionevole la procedura.

I due diversi mandati di arresto

Il Ministro ha fatto riferimento agli errori contenuti nel mandato di arresto, definendolo un pasticcio difficile da avallare in maniera frettolosa.

Il mandato effettivamente è stato corretto successivamente, gli errori sono stati definiti tipografici e a questi si è aggiunta la mancanza del parere di minoranza che contestava la giurisdizione della Corte Penale sul caso, perché la Libia non era più oggetto della risoluzione Onu 173 del 15 febbraio 2011 riferita agli attacchi di Gheddafi sulla popolazione civile.

Non a caso nel mandato di arresto si farebbe riferimento ad attacchi contro la popolazione civile delle carceri libiche, attuati dal capo della polizia giudiziaria.

Effettivamente la continuità logica e politica tra il Governo di Gheddafi e chi lo ha spodestato sembra alquanto forzata.

Se dalla caduta di Gheddafi la Libia vive in un conflitto civile permanente, che si potrebbe definire internazionale per gli attori di peso (Francia, Russia, Turchia) che sponsorizzano le due fazioni, giuridicamente il quadro dovrebbe essere cambiato, se non altro perché l’intervento della Nato è stato compiuto per farlo mutare radicalmente.

Di più, se il conflitto delle milizie anti governative contro Gheddafi, secondo proprio la risoluzione Onu 173 del 2011, era una minaccia per la pace (qui una confutazione), ma per qualcuno solamente all’egemonia del dollaro, l’intervento dei «volenterosi» guidati dagli Usa, oggetto peraltro di inchieste e risarcimenti da parte delle vittime, avrebbe dovuto mutare il quadro di intervento dell’Onu.

In caso contrario, oltre al rischio di una giurisdizione illimitata della Cpi, si finirebbe per esporre l’organo internazionale a severe critiche, proprio nel momento della sua massima delegittimazione, da parte degli Stati di maggior peso, Usa in testa.

L’ordine esecutivo di Trump sulle sanzioni contro la Cpi, stigmatizzato dalla Ue, è stato recentemente commentato dalla Corte come minare l’indipendenza della stessa, chiedendo al contempo ai 125 Stati firmatari e alla società civile di stare uniti per la promozione dei diritti umani e fondamentali.

Nel sito della Cpi è comunque presente il «nuovo» mandato d’arresto con l’aggiunta del parere dissenziente di minoranza e le correzioni, da un lato valutate come meri errori tipografici, dall’altro (quello di Nordio) inficianti la regolarità dell’atto.

La declassificazione di questo atto, a seguito della pubblicità dell’arresto di Almasri, permette di fare alcune considerazioni.

Il primo mandato di arresto è stato rubricato, Icc01/11-149-Us-Exp, e come tale è stato richiamato nel procedimento della Corte d’Appello. Questo invece è rubricato Icc-01/11-152-Us-Exp-Anx del 24-01-2025, sembra quindi un nuovo atto, peraltro successivo alla scarcerazione del libico.

Se anche fosse vero che le correzioni abbiano mera valenza tipografica, l’aggiunta del parere di minoranza ha una diversa valenza.

Se, infatti, la dissenting opinion di un Giudice in genere non rileva, nel caso specifico, essendoci la contestazione della giurisdizione, si porrebbe un problema di conflitto con i principi del nostro ordinamento riguardo la garanzia del Giudice naturale.

Secondo l’art. 13 co 3 c), la Corte d’Appello infatti potrebbe dichiarare che non sussistono le condizioni per la consegna.

L’errore tipografico della Cpi

La sede della Corte Penale Internazionale a L'AjaA seconda del ruolo che si vuole attribuire al Ministro, ossia come componente di un iter giurisdizionale, eventualità secondo noi da escludere, una prerogativa simile sarebbe stata appannaggio di colui che è il raccordo esclusivo con la Corte Penale Internazionale, anche in virtù dei risarcimenti cui sarebbe soggetta l’Italia, in caso di permanenza di una detenzione poi considerata illegittima.

Peraltro lo stesso «errore» tipografico riferito alla data dei reati non sarebbe avulso dalla contestazione della giurisdizione.

Reati del 2011 frutto della «svista», sarebbero infatti indiscutibilmente collegati con la risoluzione n.173 dell’Onu.

Inoltre al comma 4, sempre dell’art. 13 L 237/12 viene stabilito che: «Qualora sia eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la corte d’appello di Roma, ove l’eccezione non sia manifestamente infondata, sospende con ordinanza il procedimento fino alla decisione della Corte penale internazionale e trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l’ulteriore inoltro alla stessa».

Lo stesso comma 4 art. 59 dello Statuto di Roma esclude infine che l’autorità giudiziaria che sindaca le condizioni della libertà provvisoria possa verificare se il mandato d’arresto sia stato regolarmente rilasciato secondo i capoversi a) e b) del paragrafo 1 dell’articolo 58, ossia con riferimento alle motivazione per l’emanazione del mandato d’arresto.

Ciò potrebbe significare che non c’erano margini di discrezionalità giurisdizionali alla consegna di Almasri, essendo, peraltro, stata già preventivamente valutata la giurisdizione.

Purtroppo, il grande divario di interpretazione delle norme interne è il vero problema, e questo è il concreto limite alla cooperazione internazionale, rendendo difficoltosa anche l’individuazione di una responsabilità ex art. 87 comma 7 dello Statuto: «Se uno Stato Parte non aderisce ad una richiesta di cooperazione della Corte, diversamente da come previsto dal presente Statuto, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri in forza del presente Statuto, la Corte può prenderne atto ed investire del caso l’Assemblea degli Stati parti o il Consiglio di sicurezza se è stata adita da quest’ultimo».

Governo e opposizioni dovrebbero quindi prendere atto di questo problema, trattando la questione come caso pilota capace di manifestare le falle della legislazione adottata, e valutare una composizione organica, un codice della disciplina. Il ruolo del Ministro dovrebbe essere delineato con attenzione senza trasmissioni inutili e ingiustificate, o ingerenze col potere giurisdizionale, con l’esplicita conferma della legittimità dell’arresto preventivo del ricercato. Il ruolo di ausiliare della CPI da parte dell’Italia dovrebbe poi portare ad escludere esplicitamente una qualche forma di responsabilità dello Stato, anche in caso di detenzione illegittima. Si tratterebbe quindi di chiarire e rafforzare il ruolo dell’Italia nella cooperazione tra Stati e Istituzioni nei casi di criminali internazionali ricercati, un’eventualità che sarà sempre più frequente.

Armando Mantuano *avvocato

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