LOURDES

Marko Rupnik
e i mosaici della discordia

Dopo che padre Marko Rupnik, il più noto artista contemporaneo di arte sacra, è stato accusato di abusi, i suoi mosaici che adornano le porte della Basilica di Lourdes sono stati coperti.

 

Il peso dello scandalo degli abusi asseritamente perpetrati dal più noto mosaicista contemporaneo, Marko Rupnik, presbitero, ex gesuita, fondatore della Comunità Loyola e del Centro artistico Aletti, commissionario delle più importanti opere nei Santuari più famosi di tutto il mondo, sta provocando una frattura, forse in certi casi scomposta, tra il popolo di Dio.

La copertura dei mosaici di Marko Rupnik che adornano le porte della Basilica di LourdesLa questione all’ordine del giorno è la copertura, avvenuta il 31 marzo, dei mosaici delle porte della Basilica di Lourdes nell’Anno Giubilare, commissionate proprio al Centro artistico Aletti nello stile inconfondibile del suo fondatore.

Queste Porte hanno un significato simbolico importantissimo, anche se non è strettamente necessario varcarle per ottenere l’indulgenza plenaria stabilita per questo anno giubilare.

Le motivazioni del Vescovo di Lourdes sono state che «Il passaggio attraverso le porte d’ingresso della basilica doveva essere all’altezza simbolica di questo momento» e «garantire che il Santuario accolga tutti, soprattutto coloro che soffrono; tra di loro ci sono persone vittime di abusi sessuali, sia bambini, sia adulti.

A Lourdes, le persone provate e ferite che cercano consolazione e riparazione devono venire al primo posto», facendo eco a chi diceva di non dare segni che possano essere interpretati come «indifferenza» verso le vittime.

Perché coprire i mosaici

Uno dei mosaici di Marko Rupnik nella Basilica di LourdesIl commento delle vittime dell’artista sloveno attraverso il loro avvocato Laura Sgrò (già autrice del libro Stupri sacri), è stato di accoglienza favorevole della misura, giustificandola, dichiarando che «la questione non è quella di scindere l’artista dall’opera, come finora si è voluto erroneamente fare intendere, ma quella se è possibile scindere l’arte, cioè i mosaici, dall’abuso stesso e questo non è in alcun modo possibile, perché proprio durante la realizzazione delle opere e con riferimento alle stesse opere esposte nei luoghi di culto più importanti al mondo, Rupnik ha abusato di alcune delle vittime.

Ogni fedele, e non solo ogni vittima di abuso deve avere il cuore libero nel momento in cui si accosta alla preghiera e ciò non può avvenire se deve inginocchiarsi davanti a un’opera che probabilmente è stata il luogo dove si è consumato un abuso».

La questione merita un approfondimento perché si instaura nel crinale tra manipolazione delle coscienze e reazione emotiva.

Le ragioni esposte vanno esaminate a fondo, non si tratta solo di amplificare in maniera esemplare un caso, veicolando mediaticamente una sorta di messa alla berlina dell’artista, attraverso le sue opere, ma si pone l’interessante punto argomentativo se si possa scindere l’opera dall’abuso (ancora presunto).

Questa distinzione, secondo le stesse parole del difensore, servirebbe a schivare la questione più fondamentale, ossia l’ovvia scissione tra artista e opera.

Nell’accezione più radicale, si è detto che l’abuso era parte integrante dell’ispirazione, nonché della visione teologica dell’artista e non poteva non riflettersi sulle opere. Si è fatto soprattutto cenno alle pupille nere che sarebbero segno dell’eccitazione sessuale secondo le confidenze fatte alle vittime, avvicinando l’arte sacra alla possessione pagana.

Le obiezioni alla rimozione

Le ragioni riguardo la rimozione/copertura dei mosaici sono di due ordini:

  • Desacralizzazione dell’opera attraverso l’abuso.
  • Sensibilità verso le vittime.

Riguardo il primo punto se l’icona si prega ed è oltre un mero risultato artistico, con l’abuso si compie un sacrilegio che sfigura il sacro. Le opere dovrebbero quindi essere considerate arte contemporanea profana.

Inoltre, proprio riguardo le pupille completamente nere, ossia il segno più distintivo dell’opera di Rupnik, molti commentatori ecclesiastici ci hanno visto il riflesso del tenebroso, di un’anima oscura, e, perciò, incompatibili con la luminosità del messaggio cristiano. C’è quindi chi propone di modificarle attraverso tessere che colorino l’iride.

Eppure, mi chiedo, queste pesanti obiezioni teologico artistiche si manifestano successivamente all’esposizione pubblica dello scandalo e si accodano alle richieste delle vittime per cui «un’opera […] nata da un’ispirazione di abuso non può rimanere in un luogo dove le persone vanno a pregare».

Il trauma delle vittime

Particolare di uno dei mosaici di Marko Rupnik nella Basilica di LourdesQui si pone anche il problema del trauma delle vittime. Se l’arte sacra è memoriale dell’amore di Cristo per noi, quelle opere rischierebbero di perpetuare il ricordo della sua deturpazione, attraverso i corpi, le menti e gli spiriti violati.

Eppure, c’è da chiedersi, se la copertura, peraltro anti estetica, non faccia altro che alimentare, anche inconsapevolmente, quel trauma, quella spaccatura.

Le ragioni per opporsi ai braghettoni 2.0 riprendendo la metodologia usata nella Cappella Sistina, sono molteplici: innanzitutto l’opera, una volta finita, è del committente, del popolo di Dio in questo caso, e, per questo, ogni riferimento all’autore e alla sua condotta è sciolto.

Inoltre, i mosaici in questione, sono un’opera corale, in cui ha lavorato una squadra seppur sotto la direzione di Marko Rupnik.

Se anche, come viene riferito, in qualche occasione, nei momenti di estrema solitudine, quindi magari non a Lourdes, si siano consumati atti di violenza (per la legge lo sono anche gli approcci fisici non corrisposti), l’opera è più l’occasione e il contesto di tali atti, ma non si potrà mai ritenere che possa essere parte integrante dell’abuso.

Riguardo l’ispirazione attraverso l’eccitazione sessuale, pur considerando degradanti e blasfeme le (presunte) allusioni trinitarie per giustificare le orge, anche ciò non può inficiare, per ciò stesso, l’opera.

Infatti, solamente qualora l’opera inequivocabilmente rifletta una concezione abusante, prevaricatrice, violenta, lussuriosa, allora questa non sarebbe al servizio dei fedeli.

Se così fosse stato, però, ciò sarebbe parso subito evidente.

Al riparo dalle suggestioni

Marko RupnikIn gioco infatti c’è quel meccanismo psicologico chiamato suggestione, di cui ho fatto personalmente esperienza, seguendo, all’acme dello scandalo, una conferenza proprio di padre Rupnik in cui lo stesso faceva un paragone ardito tra la sessualità e il sacerdozio.

Se in quel periodo mi sembrava lampante un collegamento con gli eventi denunciati, riguardandolo ultimamente, noto solo un certo sbilanciamento verso una visione carismatica a scapito di quella istituzionale del matrimonio: per intenderci lui privilegia l’unione degli sposi in cui si fa presente Dio a scapito del matrimonio-contratto.

Certo ci sarebbe da fare un’obiezione che andrebbe al cuore del problema, ossia che il contratto è l’unione di due volontà, due intenti, in pratica la rappresentazione della reciprocità, quindi del contrario degli abusi, ma l’impostazione predicata non ha, effettivamente, un accento tanto diverso dalla maggior parte dei contributi moderni.

Sempre su questo aspetto, le vittime hanno riferito della grande dipendenza di padre Rupnik dalla pornografia, tanto da coinvolgere in questi «spettacoli» proprio una delle vittime, addirittura si sarebbe venuto a sapere che il padre spirituale di Rupnik, per fargli vincere questa debolezza, gli avesse consigliato di continuare a frequentare i cinema porno recitando però le beatitudini. Sono tutte dichiarazioni che dovranno essere poste al vaglio.

È risaputo, tuttavia, come la pornografia modifichi la plasticità del cervello e le sue connessioni neuronali, in maniera analoga a quanto fanno le droghe. In questo caso, Rupnik vivrebbe (o avrebbe vissuto) in una sorta di inappagamento continuo, da cui riuscirebbe a uscire momentaneamente solo attraverso la sua arte e il compiacimento sessuale.

Arte e sessualità

Anche in questa ipotesi di intreccio e mutua contaminazione tra visione benefica dell’arte e sessualità, agita unilateralmente, non si scorgerebbe comunque alcun vizio originario di scrittura delle opere che potrebbero, a prescindere, seguire i canoni evangelici, anche sotto la spinta dell’erotismo (come delle droghe) come propulsore.

Se l’icona poi è preghiera, questa si pone comunque nell’aspetto intimo dell’autore, e può sgorgare indipendentemente, e anche in contrasto, magari per un estemporaneo impulso o richiamo spirituale, rispetto ad una condotta nociva.

Stiamo parlando di un aspetto personalissimo che non si può indagare, dove non può accostarsi lo sguardo inquisitorio, pena una violazione analoga a quella che si contesta all’autore.

Posto ciò, si devono considerare i mosaici nella loro oggettività, rispetto a cosa esprimono, senza farne un feticcio su cui sfogare le frustrazioni delle vittime nel non trovare adeguato ascolto.

Sarebbe auspicabile, infatti, che le vittime si sentano comprese, senza misure inadeguate e sproporzionate rispetto alla loro tutela e vicinanza, quindi nei luoghi dedicati.

Personalmente, qualsiasi cosa che aiuti più vittime possibili a farsi avanti e riferire le proprie situazioni di prostrazione, è benvenuta, e, magari, l’atto di coprire dei mosaici veicola anche la sensazione che non ci siano intoccabili, coperture, convenienze. Ma rischia di far percepire tutta la dinamica come una lotta di potere in cui, come un’onda, adesso sono le (presunte) vittime a detenerlo, ma temporaneamente.

La vicenda sul portale dei Gesuiti

Non ho voluto ripercorrere volutamente le tappe canoniche della vicenda di Marko Rupnik che, insieme ad un invito alla denuncia rivolto alle possibili vittime, sono contenute nel portale dei Gesuiti.

Con un aggiornamento importante da fare: il Papa, che tra l’altro possiede un’icona del Centro Aletti nella sua residenza, come dimostra un recente video collegamento da lì con l parrocchia di Gaza, ha rimosso la prescrizione sui fatti riguardanti gli abusi contestati a Rupnik.

Il Prefetto della Congregazione della dottrina della Fede, che tra l’altro sta studiando come criminalizzare l’abuso spirituale, sta aspettando di istituire un tribunale indipendente capace di resistere alle pressioni mediatiche, per vagliare e giudicare tutto il materiale raccolto e, naturalmente, le testimonianze delle vittime.

Queste, da più parti, sono apparse concordanti, e, a mio parere, sarà indispensabile la testimonianza della fondatrice e presidente della Comunità Loyola, Ivanka Hosta, in rottura con Rupnik dal 1993 ed essa stessa sotto indagine per la conduzione autoritaria della comunità.

Ripercorrendo alcune interviste rilasciate nel 2017 a TvSat2000, mi ha impressionato questa dichiarazione (min. 25.20) del presunto abusatore: «Io sono tanto peccatore che posso dire con certezza una cosa, è vero che da quella ferita siamo stati generati, perché anche io ho scoperto con sorpresa di essere buono con la persona che mi ha fatto del male, questo viene solo da Dio».

Ricordiamoci che padre Rupnik, nonostante ci siano state ammissioni riferite dai gesuiti (rispetto al crimine di assoluzione del complice), ancora non ha fornito la sua di versione, e si è chiuso nel silenzio.

Armando Mantuano

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